Il punto di rottura definitivo non è stato raggiunto. Ma manca poco: la lacerazione tra governo e sindacati è già nei fatti, sintetizzata dallo sciopero dei trasporti e dalla controffensiva dell’esecutivo nella figura del vicepremier, Matteo Salvini. E così lo sciopero generale, in autunno, è una prospettiva che nessuno si sente più di escludere. Per ora, comunque, si promuovono varie mobilitazioni nel paese per poi arrivare eventualmente alla protesta più forte. Sono troppi i nodi da sciogliere, dalla precarietà alle pensioni. E non c’è una reale disponibilità del governo. Tanto che Cgil, Cisl e Uil si ritrovano più vicini rispetto al passato.
Ogni azione porta all’innalzamento del livelli di scontro. La precettazione dei lavoratori, ordinata dal ministro dei Trasporti Salvini, è stata una forzatura che ha avvelenato il clima. In risposta è arrivato il ricorso al Tar, annunciato dal segretario della Cgil, Maurizio Landini. Il pronunciamento dei giudici amministrativi sarà messo nero su bianco a sciopero archiviato. Il tribunale ha infatti rigettato la richiesta di sospensiva della precettazione stessa perché «in stato di avanzata attuazione».
L’udienza nel merito è stata fissata il 4 settembre e si può arrivare, in quella sede, a una sentenza che faccia da dissuasore a un ulteriore tentativo futuro di «limitare il diritto allo sciopero», come hanno denunciato i leader sindacali. Il numero uno della Uil, Pierpaolo Bombardieri, ha pestato duro: «Siamo alla negazione del diritto allo sciopero». E il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, ha abbandonato la linea morbida: «L’unica precettazione che ci aspettiamo dal governo è quella di obbligare le aziende a rinnovare i contratti», ha detto, garantendo che il suo sindacato «non farà sconti».
I TAVOLI FINTI
Salvini ha subito rilanciato il corpo a corpo: «Non abbiamo cancellato il diritto allo sciopero. Gli italiani hanno bocciato una pretesa assurda della Cgil e dei sindacati di bloccare per 24 ore tutta l’Italia». Lo schema del leader leghista è chiaro: arrivare al muro contro muro, agitare la propaganda per contrastare la richiesta dei diritti. Facendo leva sul malcontento popolare. Le attese alle banchine, sotto il sole bollente, hanno creato disagi e malumori tra i cittadini. Salvini vuole blandirli, anche a costo di una prova di forza. Prendendo come bersaglio soprattutto la Cgil.
Al momento la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha lasciato campo libero. Palazzo Chigi preferisce far gestire il dossier trasporti al ministro titolare, restando spettatore. Un po’ per condivisione della battaglia, un po’ per calcolo: se va male, la responsabilità può essere scaricata su Salvini, se ci dovesse essere una ricaduta positiva, ne gioverebbe l’intero governo. Quando sarà opportuno, comunque, la premier si farà sentire nel confronto ad alta tensione con i sindacati. Ha già aperto il fronte con i magistrati, non vuole forzare su altro.
La preoccupazione è di una guerra totale, che la maggioranza non è attrezzata ad affrontare. Difficile immaginare che i prossimi mesi possano andare meglio. I ministri convocano i tavoli pro forma, senza un dialogo effettivo. Lo schema degli incontri è consolidato: gli esponenti dell’esecutivo introducono a malapena i lavori, spiegando di essere lì per ascoltare. Quindi i rappresentanti dei sindacati iniziano a snocciolare i problemi e ad avanzare le richieste. La riunione, puntualmente, termina con il ministro di turno che promette un aggiornamento alle prossime settimane, ribadendo che spetta al governo assumere le decisioni. Per questo le sigle sindacali parlano di «tavoli finti» voluti dal governo.
DOSSIER CALDI
La tensione non è una simulazione. Ci sono temi concreti che ribollono nel magma del dibattito pubblico. Uno dei punti dolenti è l’entrata in vigore della riforma del mercato del lavoro voluta dal governo. Il provvedimento liberalizza di fatto il ricorso ai contratti a tempo determinato, diminuendo il potere del lavoratore, che si trova costretto a concordare una proroga oltre i limiti previsti attualmente. I sindacati, per forza di cose, non possono assistere inerti: il tema è una molla per far partire una mobilitazione sociale ancora massiccia.
Perché l’unica soluzione attuabile è la protesta. Non va molto meglio su altri dossier, per esempio il rinnovo del contratto per dei dipendenti pubblici. Servono 16 miliardi di euro per garantire la copertura all’accordo per il triennio 2022-2024. Una cifra impossibile da reperire nella prossima legge di Bilancio.
L’agitazione sul punto è facilmente pronosticabile. E così via, la mancanza di confronto si evidenzia sulla riforma delle pensioni, sull’assenza di investimenti – che potrebbero diventare sostanziosi tagli – alla sanità.L’autunno caldo è alle porte, dunque. Il clima sociale rischia di logorarsi rapidamente nella coda dell’estate: la cancellazione del Reddito di cittadinanza dispiegherà i suoi effetti. Le conseguenze sono imprevedibili. A quel punto lo sciopero generale potrebbe essere l’unico strumento per veicolare il malumore sociale.