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25 Maggio 2024Salis in aula senza catene Il padre furioso con il giudice: «Ha svelato il suo domicilio»
di
Giovanni Bianconi
La detenuta candidata alle Europee: non è finita, grazie a chi mi sostiene
L’imputata aspirante deputata europea giunge alla Corte metropolitana di Budapest libera da ceppi e catene, su un taxi insieme ai genitori ma pur sempre detenuta, come dimostra il congegno elettronico fissato alla caviglia sinistra, che in macchina faceva qualche rumore provocandole un po’ di ansia. Niente di grave, però, nessun segnale di tentata evasione. «Grazie a tutti per il supporto», dice Ilaria Salis al suo arrivo sotto la pioggia, le telecamere e i flash dei fotografi. E poi nell’aula 36, al secondo piano del palazzo di giustizia, senza più poliziotti a viso coperto a farle da scudo: «È il primo passaggio di un percorso, non è finita visto che siamo ancora qui» aggiunge indicando i banchi del giudice e dell’accusa.
Terminata l’attesa in cui la detenuta-candidata a Strasburgo lancia baci e saluti agli amici e compagni venuti dall’Italia, e scambia opinioni con gli avvocati e i rappresentanti di Alleanza verdi-sinistra che l’hanno messa in lista (scelta bollata come «scandalosa» dal sottosegretario all’Interno magiaro Bence Retvari), l’udienza s’accende subito: il giudice Jozsef Sos svela in pubblico (forse inavvertitamente, o forse no), l’indirizzo dove da ventiquattro ore Salis ha cominciato a scontare i domiciliari.
Il brusio in aula anticipa la richiesta dei difensori ungheresi di cancellare l’indicazione dal verbale d’udienza per motivi di sicurezza (raccolta dal giudice) e la sfuriata del padre di Ilaria, Roberto Salis: «Ora c’è una situazione di pericolo ingestibile, il governo deve prendere subito posizione e fare in modo o che Ilaria venga trasferita immediatamente in Italia o subito in ambasciata». Ma non sono decisioni che si possono prendere a Roma. L’ambasciatore italiano a Budapest Manuel Jacoangeli, presente in aula, invia immediatamente una nota al governo ungherese affinché «siano adottate tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza della nostra concittadina».
Nel frattempo, il processo in cui l’insegnante monzese è accusata di partecipazione al pestaggio di due sospetti filonazisti ungheresi, procede con la deposizione della prima vittima. In videocollegamento dal piano terra dello stesso palazzo, Zoltan Toth guarda l’imputata e dice di non averla mai vista prima, «anche se so chi è perché il suo nome è noto». Ma non sa dire se fosse tra i suoi aggressori, che erano tutti a volto coperto. Poi ricorda l’agguato subìto, le ferite in testa ricucite con 24 punti di sutura e tre costole rotte, refertate però dopo tre mesi in un’altra città, quando aveva ripreso da tempo ad andare in bicicletta e a praticare il tiro con l’arco; situazione difficilmente compatibile con le lesioni potenzialmente mortali contestate dall’accusa. Lui racconta che ogni tanto sente ancora dolore, «le mie condizioni di vita da allora sono peggiorate sul piano fisico e morale». Il giudice seleziona e mostra i filmati del pestaggio come fosse il rappresentante dell’accusa, e si vede Toth che si rialza da sé subito dopo la fuga degli aggressori, ma una delle due donne pubblico ministero gli comunica che la proiezione è stata seguita in aula «in stato di shock e col fiato sospeso». Replica dell’avvocato ungherese Gyorgy Magyar: «Dai video non emerge nulla sull’identità dei responsabili».
Sembra un anticipo di discussione finale in un processo ancora lungo, che si giocherà soprattutto sulle perizie antropometriche ricavate dai video e sugli abiti degli aggressori. Il giudice si sofferma su quelli che indossava Ilaria Salis al momento del fermo, simili a quelli che compaiono in altre immagini del gruppo che — forse — aveva seguito Toth prima dell’assalto.
La prossima udienza è fissata per il 6 settembre, il giudice ha prorogato per sei mesi gli arresti domiciliari di Salis. Ma tra due settimane ci sono le elezioni in cui Ilaria confida di ottenere l’immunità e la liberazione, in attesa di un’eventuale richiesta di autorizzazione a procedere della magistratura ungherese a Strasburgo. È la prossima tappa del percorso intrapreso dall’imputata-candidata, che a fine udienza risale in taxi e torna a casa, tra gli applausi dei suoi sostenitori e un pugno alzato in segno di saluto.