La cosa più semplice da scrivere è che il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano ne ha combinata un’altra delle sue. Da Taormina, su video-fondale arancione, durante l’ennesimo incontro sull’identità italiana – che te la raccomando! – con misurata e convincente gesticolazione ha spiegato che Colombo ha raggiunto l’America sulla base delle teorie di Galileo Galilei, che però era nato parecchi anni dopo.
Ora occorre anche dire che i fan sangiulianini, gente crudele e sofisticata, più che gli spropositi del ministro, amano il modo in cui egli ogni volta cerca invano di porvi riparo. In questo senso il capolavoro fu registrato allorché, dopo aver lietamente confessato in diretta di non aver nemmeno aperto i libri del Premio Strega che aveva votato, riuscì poi ad aggravare la situazione nella quale si era infilato chiarendo che non li aveva letti «con la calma che meritavano». Stavolta, dinanzi alla problematica abbinata Colombo- Galileo, lo si è visto entrare a capo chino a Palazzo Chigi, per una volta risparmiandosi le baldanzose notazioni riservate agli ex colleghi giornalisti: «Se lei avesse un po’ di memoria storica, saprebbe che io…». Ora, è purtroppo vero che la memoria tende ad accorciarsi, ma non fino al punto da dimenticare che due mesi fa il ministro Sangiuliano, inerpicatosi in una dotta evocazione sui «luoghi iconici» e rispondendo per giunta a un giornalista britannico aveva trasferito Times Square a Londra – salvo poi deliziare i suoi più maligni supporter precisando che intendeva Piccadilly Circus.
Con qualche ritegno si confessa qui la fatica di stracciarsi le vesti. Forse si tratta di sfinimento civile, forse sono i tempi che sgangheratamente spingono a una visione buffa e in fondo consolatoria, per cui si liquida con una risata la convinzione che Dante può considerarsi, a detta di Sangiuliano, «il fondatore del pensiero di destra»; così come sembra uscito da un cinepanettone che il titolare di quella che lui stesso ritiene «una superpotenza culturale» fosse disposto a concedere il Colosseo per una scazzottata tra due estrosi miliardari americani, Musk e Zuckerberg, in cambio di un ospedale per i bimbi malati.
Il più bronzeo e insieme ridondante indifferentismo connota in realtà la figura di Sangiuliano che esordì nel suo nuovo e agognatissimo ruolo annunciando l’urgenza di una fiction Rai su Oriana Fallaci, che tuttavia era già stata realizzata non molti anni prima dall’azienda di cui faceva parte come direttore del Tg2.
Missino in gioventù, su quella poltrona era arrivato alla fine degli anni 10 grazie al suo periodo salvinian-sovranista. Cosa abbia spinto Meloni a promuoverlo alla Cultura resta un mistero, sempre che lo scopo non fosse quello di riequilibrare l’implacabile attitudine alle gaffe del cognato Lollobrigida con la parallela e strenua vocazione di Sangiuliano per gli spropositi, tanto più comici quanto più dettati dall’alta e compiaciuta considerazione di sé; mentre il secondo mistero è come mai, pur disponendo di un imponente apparato di consiglieri e comunicatori, il ministro non si sia ancora accorto che lo sfoggio, gli onori, il red carpet, il potere, insomma, altro non è che una mostruosa lente d’ingrandimento a cottura ravvicinata in grado di trasformarlo in un crostino scottadito.
Ciò detto, sarebbe ingiusto pensare che egli non ama la cultura, e non solo per una certa smania contabile che appena possibile l’ha portato a fissare pubblicamente in 15 mila i volumi della sua biblioteca, oltre che in 18 i libri scritti di suo pugno. La questione, semmai, è che Sangiuliano ama assai più se stesso della cultura e che quest’ultima si vendica così di frequente da averlo trasformato in un soggetto d’intrattenimento. A volte non è necessario nemmeno che si esprima, basta osservarlo: gentile, impettito, permaloso, volonteroso, pomposo, ghiotto di riconoscimenti e avido di applausi, perfetto per un cartoon. Diceva Socrate di non sapere nulla. Dice Sangiuliano che Colombo deve tutto a Galileo, ma forse era Tolomeo.