il caso
Paolo Russo
Il doppio lavoro dei medici divide il mondo della sanità, mentre al ministero dele Salute si sta pensando, se non a una stretta, a nuove regole che impediscano si arrivi ad avere ospedali che fanno più attività nei reparti solventi che nel pubblico, come documentato dall’Agenas in una sfilza di strutture sparpagliare in ben 16 regioni. La parole del padre dell’Istituto farmacologico Mario Negri, Silvio Garattini, che propone di abrogare l’intramoenia, ossia le visite private negli ospedali, in cambio di un aumento del 30% degli stipendi, hanno di nuovo aperto un solco tra sostenitori e avversari dell’attività libero professionale che i medici possono fare all’interno delle strutture pubbliche, fuori dall’orario di lavoro e cedendo il 20% della parcella alla stessa azienda sanitaria da cui dipendono.
Secondo i medici è un falso problema, perché le liste di attesa si allungano causa carenza di professionisti non per l’attività che questi svolgono privatamente. Per chi si occupa dei problemi di gestione in sanità invece c’è necessità di mettere dei paletti. «Quella di Garattini può anche essere un’idea», afferma Americo Cicchetti, direttore di Altems, l’Alta scuola di economia e management sanitari della Cattolica, candidato numero uno a ricoprire il delicatissimo ruolo di direttore della Programmazione al ministero della Salute, dove è molto ascoltato da Orazio Schillaci. «Sicuramente – prosegue – la normativa creata nel 1999 andrebbe rivista e aggiornata, anche fissando dei limiti alle prestazioni erogabili in forma privata a seconda della specialità medica. Una cosa è comunque certa, oggi anche i privati per migliorare la loro offerta assistenziale vogliono medici che lavorino per loro a tempo pieno e non a mezzo servizio. E questa dovrebbe essere la tendenza anche nel pubblico».
Parole che rischiano di non far dormire sonni tranquilli ai camici bianchi, che saranno anche i meno pagati d’Europa, ma che nel 42% dei casi rimpinguano lo stipendio con il doppio lavoro, come mostra la relazione di ministero della Salute e Agenas appena consegnata al Parlamento. Nel 2021, al netto del 20% dovuto ad Asl e ospedali per la messa a diposizione dello studio, i 45 mila medici che fanno l’intramoenia si sono messi in tasca un miliardo e 86 milioni, che sommati al miliardo e 169 mila euro dell’indennità di esclusiva, aumentata del 27% nel 2021, fanno in totale 45 mila euro a testa per lavorare privatamente in ospedale rinunciando a fare affari in clinica. Ma si tratta di una media del pollo per dirla con Trilussa, dietro la quale c’è una buona maggioranza che non va oltre i 10 mila euro annui di attività privata perché esercita specialità che non hanno molto appeal tra i solventi. Non è così invece per altre branche mediche, dove infatti la fetta di reddito da attività privata non solo supera di gran lunga quella dello stipendio da pubblico dipendente, ma a volte arriva a toccare il milione di euro, come è accaduto in Toscana e Veneto dove la pubblica amministrazione ha reso pubblici i redditi da lavoro autonomo. Differenze di guadagno da doppio lavoro che si riversano poi sulle scuole di specializzazione, dove si fa fatica ad assegnare le borse di studio quando c’è meno mercato privato mentre vanno a ruba quelle in chirurgia plastica, ginecologia o oculistica, per fare qualche esempio. Così, se non si troveranno dei correttivi, tra qualche anno sarà un’impresa trovare un medico di pronto soccorso, visto che il 61% dei posti nelle scuole di medicina di emergenza e urgenza non è stato assegnato, così come saranno merce rara virologi e radioterapisti, per i quali le borse di studio non assegnate sono state rispettivamente il 78,3 e il 67,7% di quelle disponibili.
«Il problema è proprio la carenza dei medici, non l’attività che questi esercitano in regime di libera professione dentro le strutture pubbliche», ci tiene a mettere subito in chiaro il presidente dell’Ordine dei medici, Filippo Anelli. «Oggi l’intramoenia è percepita come un’anomalia dagli assistiti che non riescono a ottenere in tempi accettabili le prestazioni gratuitamente dal pubblico. Ma le liste di attesa si allungano perché c’è una grave mancanza di personale, non perché questo fuori dall’orario di lavoro esercita privatamente. Casomai – apre un po’ rispetto ai critici del doppio lavoro – l’anomalia è quella che consente ai medici anche di avere un rapporto non di esclusiva con il servizio pubblico esercitando la libera professione fuori dagli ospedali».
«Le accuse all’intramoenia si commentano da sole e non tengono conto della realtà dei fatti», va giù duro Pierino Di Silverio, segretario nazionale dell’Anaao, il più grande sindacato dei medici ospedalieri. Che poi spiega: «Il numero dei medici in rapporto esclusivo che esercitano la libera professione è diminuito dal 2013 al 2021 di 10.198 unità. Questo perché appena il 30% dei ricavi della prestazione è, al netto di tasse e contributi, guadagno del medico. Le aziende, invece, incassano 250 milioni l’anno, da destinare in parte a progetti di riduzione delle liste di attesa di cui, in verità, non si vede traccia». Quelle liste che – comunque la si giri – finiscono per arricchire il privato.