Ilario Lombardo
Roma
Un telefonata immediata, annunciata pochi minuti dopo la fine del messaggio di fine anno di Sergio Mattarella, per tentare di neutralizzare l’interpretazione di un discorso ampiamente critico verso il governo. Giorgia Meloni ha bisogno di iniziare il 2025 senza dare l’impressione di una puntuale e continua dialettica con il Quirinale. La nota, formale, che Palazzo Chigi trasmette appena conclusa la diretta televisiva del discorso, racconta perfettamente dove e come la presidente del Consiglio si senta messa sotto esame dal Capo dello Stato. Ma è soprattutto quello che non è scritto nella nota a colpire: cioè quello che – confermano fonti di Fratelli d’Italia – manca nell’elenco degli apprezzamenti della premier.
Meloni definisce «cordiale» il colloquio telefonico, nel corso del quale ha espresso a Mattarella condivisione sul richiamo «al valore fondante del patriottismo, come motore dell’azione quotidiana e sentimento vivo che muove» chi si occupa della cosa pubblica. Sintonia sugli scenari di crisi, sulla strada per portare la pace in Ucraina e in Medio Oriente, mentre sul fronte della politica interna la condivisione diventa più limitata. Anzi, limitatissima. Meloni ovviamente rilancia le parole incoraggianti su export e occupazione, due risultati incassati, mentre sul resto, quando Mattarella decostruisce l’immagine dell’Italia felice e risorta celebrata dalla premier in ogni suo comizio – in piazza e nei salotti tv amici – si limita a fare riferimento solo alla parte del discorso in cui il presidente della Repubblica rivolge l’attenzione di tutti «alla necessità di affrontare il crescente disagio che attraversa le giovani generazioni, proponendo risposte concrete ed efficaci». Il passaggio sulle carceri, molto duro e sentito? Dimenticato. Il passaggio sulle inaccettabili liste d’attesa della sanità e sugli italiani che rinunciano alle cure? Dimenticato. I salari bassi nella traduzione di Meloni, invece, diventano «area di precarietà e lavoro povero».
Chi frequenta il Quirinale conosce l’eloquio felpato di Mattarella, capace di dare stoccate usando molto gli impliciti di un discorso, forse non di immediata comprensione per i comuni cittadini quanto per gli addetti ai lavori. Di certo, a Meloni e ai suoi collaboratori non sono sfuggiti. Per esempio: contro il sovraffollamento carcerario. Quando Mattarella insiste sul diritto dei detenuti a «respirare», tutti nel governo hanno colto il riferimento alle frasi choc del sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro che aveva detto «di provare gioia a non lasciare respirare chi viene trasportato dentro i blindati della polizia», concetto che Meloni non ha voluto sconfessare durante il G20 di Rio de Janeiro. C’è un’idea diversa di Italia che divide la destra meloniana da Mattarella. Una distanza che si mostra nell’insofferenza della premier e dei fedelissimi su alcuni precisi paradigmi segnalati dal presidente della Repubblica. Meloni si attendeva messaggi a difesa della magistratura, contro gli attacchi quotidiani del governo, e invece Mattarella ha puntato i riflettori sull’inciviltà dello stato delle carceri. Il Capo dello Stato non ha nemmeno avuto bisogno di citare l’«antifascismo», quando ha parlato esplicitamente delle celebrazioni degli ottant’anni dalla liberazione che cadranno nel 2025: ma quella parola – “liberazione” – che si festeggia il 25 aprile, tante volte in bocca a Meloni è diventata “libertà”, quasi a voler cambiare le origini e l’orgoglio della Resistenza contro il nazifascismo. Così come sui salari e sulle liste d’attesa degli ospedali: è il passaggio che ha meno apprezzato Meloni, assieme alla stoccata sulle poche risorse investite nelle politiche ambientali. La replica di un suo uomo di fiducia, coperta dall’anonimato, è significativa: «Sembrava di sentir parlare Elly Schlein». Perché gli irrisolti problemi della sanità e i bassi salari italiani, i più bassi tra i grandi Paesi occidentali, sono gli argomenti dell’opposizione, del Pd, della sinistra e del M5S, a cui più Meloni sente difficoltà nel controbattere.
La propensione di Fratelli d’Italia a non far sfuggire un sussurro senza che Meloni voglia, ha fatto sì che ieri l’intero partito sia rimasto allineato, e abbia contenuto l’insofferenza rivolta al Quirinale. Ma è un sentimento che resta: gli appelli di Mattarella vengono vissuti come un controcanto, e lui in persona come un baluardo delle opposizioni. Ma Meloni ha ordinato cautela, non vuole che venga messo nel mirino un presidente che è nel cuore degli italiani che poi saranno chiamati a votare. A partire dai referendum, se mai ci saranno, che potranno affossare le riforme su Autonomia, separazione delle carriere dei magistrati, e premierato, la scommessa più difficile di Meloni per la seconda metà del suo mandato. Per la leader il 2025 è tutto da capire: l’anno nasce con l’incognita Donald Trump, al cui giuramento a Washington, il 20 gennaio, alla fine la premier potrebbe non andare (pare abbiano prevalso le argomentazioni dei diplomatici sul fatto che non si ricordano recenti precedenti di un capo di governo italiano all’insediamento del presidente Usa). Anche sulle tre grandi riforme istituzionali che dividono il mondo politico italiano, comunque, Mattarella ha detto più implicitamente che esplicitamente. Ma chi doveva capire, ha capito.