di paolo Colonnello
La domanda è: comprereste mai un’auto usata da un personaggio che l’ha già rivenduta a se stessa tre o quattro volte per pagare i pezzi di ricambio? Perché fatte le debite proporzioni, è un po’ questa la situazione in cui si trova Daniela Santanchè, ministro del Turismo per Fratelli d’Italia, indagata dalla procura di Milano per il disastro societario del gruppo editoriale Visibilia e per quello dell’alimentare Ki Group e Bioera, con ipotesi di falso in bilancio e bancarotta fraudolenta nate da 4 istanze di fallimento presentate l’anno scorso di cui solo una, dopo l’intervento di Briatore che ha rilevato le sue quote del Tweega, è rimasta in piedi. E poi c’è l’inchiesta per aggiotaggio, al momento contro ignoti, aperta partendo dal finanziamento da 3 milioni di euro ricevuto dalla Santanchè per le sue società alimentari dalla misteriosa finanziaria off-shore Negma, con sede a Dubai e capitale sociale alle isole Vergini pari a 1.000 euro. Finanziaria che ha fatto crollare il titolo delle società di Santanchè quotate in Borsa con un prestito obbligazionario a dir poco spericolato e sulla cui reale proprietà si stanno moltiplicano le voci. Al punto da spingere perfino ambienti vicini al presidente del Senato, Ignazio La Russa, che pure aveva firmato una diffida a nome di Negma, a far sapere di aver inviato quella lettera su «richiesta amichevole della stessa Santanché» e che dunque la sua attività sarebbe cominciata e finita con questa diffida. Sempre dalle parti di La Russa si fa sapere anche che Santanché non sarebbe mai stata sua cliente per questioni societarie, seppure, per dovere di cronaca, va rilevato che il nome di La Russa non compare solo dietro le lettere di diffida ma anche in calce alla nota integrativa del 15 febbraio 2021 al bilancio di Visibilia, redatta dal collegio sindacale dove si dà atto di un suo intervento telefonico su richiesta della presidente del Consiglio d’amministrazione Santanchè per esaminare il materiale ricevuto da alcuni azionisti (quello che diede adito poi alla successiva nota di diffida). Insomma, una presa di distanza inedita da parte della seconda carica dello Stato verso i guai di quella che fino a poco tempo fa era considerata una sua pupilla, tanto da avergli fatto concorrenza perfino sui busti del Duce: «Io sul comodino ho una bellissima testa del Duce in legno, che mi hanno regalato. Ce l’ho, me la tengo, non me ne vergogno. Ma non è che con questo inneggio al fascismo».
Niente male per il capo di un dicastero che rappresenta una delle più importanti aziende del Paese, quella del turismo appunto. D’altronde che il ministro Santanchè non fosse messa benissimo come imprenditrice, titolo di cui si è fregiata nelle apparizioni televisive in cui raccontava (falsamente) di aver anticipato la cassa integrazione ai suoi dipendenti (che in alcuni casi stanno ancora aspettando il Tfr dopo essere stati licenziati) lo si sapeva da tempo. Almeno dal 2017 quando “l’imprenditrice” decise di licenziare tutti i giornalisti della sua Visibilia Editore Spa, società che, sostengono le accuse, aveva lentamente svuotato. E ora che i suoi guai sono venuti alla luce, ci si chiede che fine farà la levigatissima “Pitonessa”. Anche perché la sensazione è che i suoi guai siamo appena cominciati, visto che almeno tre pm si stanno occupando delle sue fallimentari attività imprenditoriali e che la Consob, l’organismo di controllo della Borsa, sta facendo avanti e indietro dalla Procura ormai da tempo, dopo un colpevole ritardo di circa due anni dalle prime denunce.
Se infatti l’Agenzia delle Entrate non dovesse accettare il suo piano di restituzione del debito pari a un milione 980 mila euro, comprensivi di interessi e sanzioni, con un procedura da lei stessa proposta e che le permetterà di restituire il dovuto nella misura di un milione e duecentomila euro da pagare in comode rate di dieci anni, scatterebbe la richiesta di fallimento e quindi bancarotta da parte della Procura. Il problema infatti è che la procedura cui ha fatto ricorso la ministra è nata per aiutare società che potevano dimostrare una continuità aziendale. E non sembra essere il suo caso. Ma come recupererà questi e altri soldi il ministro di “Open to meraviglia”? Perché oltre al piano di rientro ci sono le varie cause aperte dagli ex dipendenti e le azioni di responsabilità che pendono davanti al tribunale delle imprese portate avanti dai piccoli azionisti radunati dietro le bandiere napoletane del finanziere con residenza alle Bahamas, Antonio Zeno, che prima di altri, dopo aver cercato di prendersi le attività della Santanchè, ha dato fuoco alle polveri facendo diventare la Pitonessa una pericolosa mina vagante per il governo.
Ammesso, ma non concesso, che l’Erario accetti il suo piano di rientro, impedendo (in parte) il fallimento delle sue società e facendo revocare l’accusa di bancarotta, rimarrebbe comunque in piedi quella per falso in bilancio che, in caso di conferma, prevede pene severe: dai 3 agli 8 anni di reclusione. E che, soprattutto, può consentire alla Procura di guardare comunque nelle carte e nei bilanci delle società, scoprendo, a esempio, ben altro che la Maserati intestata all’azienda, o l’appartamento dietro Piazza Navona che doveva essere usato come redazione del settimanale Ciack, o quello di rappresentanza da 100 mila euro all’anno tenuto a Milano, o quello a Londra… Ciò che soprattutto si augurano i piccoli azionisti rimasti danneggiati dalla spericolatezza delle operazioni del ministro o dei suoi ex fidanzati (Canio Mazzaro) o fidanzati attuali (Dimitri Kunz), è che venga fuori il nome di chi si nasconde dietro Negma. Sarebbe come aprire un vaso di Pandora. A quel punto la Pitonessa rischierebbe di rimanere strangolata nelle sue stesse spire.