Autocritica e rilancio per sfuggire al pressing. Per uscire da un’impasse che poco si addice all’immagine che ha scelto di mostrare, Giorgia Meloni ha deciso di ammettere la propria frustrazione nel vedere aumentare quegli sbarchi che la destra in campagna elettorale aveva promesso di fermare. Poi, nell’intervista al Tg1 di sabato sera, per non mostrarsi immobile nell’attesa che la cosiddetta strategia diplomatica inizi a esibire qualche risultato, la premier ha annunciato l’avvio di “fase due”. La definizione va tradotta dal politichese e proprio nell’esegesi si sono esercitati molti esponenti della maggioranza ieri. C’è dietro una grande svolta? La Lega, che da giorni porta avanti un pressing che inizia a sembrare ostile anche ai più ottimisti degli alleati, si augura di sì. Ieri dalle colonne di Repubblica il vicesegretario Andrea Crippa è tornato a proporre la linea dura e l’auspicio, non privo di malizia, di via Bellerio è che la fase due voglia dire una stretta severa sull’immigrazione.
Da Fratelli d’Italia si precisa che non ci saranno novità clamorose, ma si tratta dei provvedimenti sulla sicurezza che il governo approverà presto, in materia di rimpatri e di controlli sull’età reale dei migranti che si dichiarano minori (non accompagnati). Quando arriverà questo decreto? Meloni lo aveva annunciato per questa settimana, ma a meno di sorprese non ce ne sarà traccia nel Consiglio dei ministri di oggi, dedicato a interventi su bollette e prezzo dei carburanti, né in quello, delicatissimo, di giovedì nel quale andrà approvata la Nota di aggiornamento del Def (la Nadef). Dal Viminale si spiega che gli uffici sono al lavoro, insieme al ministero della Giustizia e Palazzo Chigi, per scrivere le norme che dovranno rivedere la Legge Zampa, ma nel Carroccio il sospetto di un rinvio è sempre presente. Matteo Salvini di conseguenza, attraverso i suoi dirigenti, sta aumentando la pressione sulla premier, non solo sull’immigrazione ma anche su altri temi: sulle tasse, con la proposta di pace fiscale, sul condono edilizio e sugli affitti brevi, solo per citare le ultime uscite.
L’altro terreno su cui questa partita si gioca è quello internazionale, da questo punto di vista, secondo Palazzo Chigi, il quadro è meno negativo di qualche settimana fa. Lo sblocco (sebbene molto parziale) di alcuni dei fondi europei destinati alla Tunisia, l’atteggiamento più solidale di Emmanuel Macron sono segnali che vengono sottolineati più della crisi diplomatica che si è aperta con la Germania. Storicamente con l’autunno le partenze diminuiscono e questo, secondo le speranze della destra di governo, consentirà di ragionare sull’immigrazione con meno ansia e meno effetti negativi nei sondaggi.
La strategia di Meloni, secondo la linea ufficiale del partito, è formata da un obiettivo di lungo periodo, il cosiddetto Piano Mattei, di medio periodo, il memorandum con la Tunisia e di respiro più immediato, ovvero le misure sui centri per i rimpatri, quelle sui minori e il tentativo di accelerare le espulsioni. E proprio su questi provvedimenti più immediati sarà improntata la fase due, annunciata dalla leader di Fratelli d’Italia.
Ci sono vari motivi per cui Meloni ha deciso per la prima volta di ammettere un risultato negativo del suo governo. Intanto c’è un punto di orgoglio personale, ovvero l’esigenza di non passare per il politico che non guarda la realtà, con il rischio di perdere la faccia. E le promesse di blocco navale contrastano necessariamente con le immagini degli sbarchi a Lampedusa. Ci sono poi i sondaggi che iniziano a mostrare qualche segnale preoccupante: Alessandra Ghisleri (Euromedia Research) su La Stampa di giovedì scorso ha rivelato come oltre un elettore di Fratelli d’Italia su tre giudichi negativamente l’operato del governo sull’immigrazione, una percentuale che supera il 40 per cento quando la domanda viene posta ai votanti della Lega. Meloni ripete spesso di non dare troppo peso ai sondaggi, specie in questa fase, non nega di guardare agli umori del suo elettorato, ma aver indicato l’orizzonte del governo sui cinque anni, vuol dire anche ostentare un certo distacco verso le percentuali di oggi. La premier ricorda spesso quando nel 2018 prese la decisione di non entrare nel governo gialloverde, «i sondaggi allora ci davano in picchiata, Salvini è arrivato ad avere quasi trenta punti più di noi, ma alla lunga la scelta si è rivelata quella giusta», racconta uno dei massimi dirigenti del partito. Un modo per farsi coraggio in un passaggio delicato che ne precede uno potenzialmente peggiore: la manovra.