ROMA — In ballo non c’è il cambio nel nome, almeno per ora, dicono nella cerchia di Elly Schlein. Ma tanto nel Partito democratico è destinato a cambiare. Dopo sei mesi al timone del Nazareno, la segretaria ha deciso di avviare un processo che cambierà «la forma partito», nel segno del movimentismo, dell’apertura ai mondi esterni, al famoso popolo dei gazebo che l’ha incoronata leader ribaltando l’esito del congresso. «Aggiornare», è il mantra dei fedelissimi che stanno lavorando alla pratica. Il processo, come vuole la prassi, sarà partecipato. Si passerà cioè da una «conferenza nazionale sull’organizzazione », a cui sta già lavorando Igor Taruffi, braccio operativo di Schlein, con i galloni di responsabile della “macchina” del Pd. Per ora la leader ne ha solo accennato al comizio finale della festa dell’Unità di Ravenna. È il via che tanti, intorno a lei, aspettavano.
La conferenza, trapela da chi sta seguendo il dossier, partirà a stretto giro: entro fine anno il via, per concludersi nei primi mesi del 2024. In tempo per presentare un partito rinnovato, non solo nella leadership, ma anche nella forma, che in politica è sostanza, entro il gong delle Europee.
L’obiettivo qual è? Due sono le direttrici a cui pensa Schlein, che ha l’assillo di aprire il partito a forze fresche, anche esterne, per evitare che il Pd sia percepito ancora come un gruppo avvitato in discussioni ombelicali, dove decidono sempre gli stessi. La prima idea allora è aprire: primarie, primarie, primarie. Consultazioni aperte ai militanti, non solo ai tesserati, a tutti i livelli: dai segretari regionali a quelli provinciali e cittadini. Per evitare che la scelta dei vertici, nei territori, sia solo un gioco di correnti, somme di pacchetti di tessere puntati sui nomi decisi dai capibastone. È una mossa coraggiosa, destinata a cambiare nel profondo gli equilibri del primo partito di opposizione. Quasi un azzardo, tanto che qualcuno, perfino tra i sostenitori di Schlein, sconsiglia alla segretaria di giocare la carta. Ma Schlein sembra convinta. Anche tre giorni fa da Parma, intervistata da Enrico Mentana al festival di Open, aveva fatto intuire che tipo di Pd abbia in mente: «Non basta cambiare la testa del partito, bisogna cambiare anche sui territori».
Schlein sembra presagire il polverone che rischia di sollevarsi, se l’operazione andrà davvero a dama. Prevede cioè – perché ormai ha imparato a conoscere bene le dinamiche correntizie – che un pezzo di partito dirà: eh, ma così si mortificano gli iscritti. E allora, ecco l’altro pilastro di questo «update Pd»: far votare i tesserati sui punti chiave del programma. Sulle questioni, anche sensibili, che finora arrovellano solo il dibattito tra gruppi dirigenti, dal lavoro ai migranti alla questione delle spese militari. I referendum della base erano un principio già fissato, fra i democratici, ma sempre, largamente, disapplicato. Schlein vorrebbe invece renderlo strutturale, quasi con cadenza periodica: votazioni nelle sezioni, ma anche online, sui temi più delicati, su cui impostare l’opposizione al governo. Per rendere comunque centrale il corpaccione dei militanti, che continuano a crescere dalle primarie in poi (su 30mila nuove iscrizioni, in 11mila non avevano mai avuto una tessera del Pd in tasca). Sa, la segretaria, che il piano incontrerà resistenze, che qualcuno storcerà il naso. Ma ha già vinto una scommessa, sei mesi fa. Ed è pronta alla prossima.