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Madia: almeno poteva aderire al referendum prima di Conte. La leader rilancia sul salario minimo
Adriana Logroscino
Roma Firma per il referendum che vuole cassare il Jobs act di renziana memoria e condivide l’allarme in una telefonata con Giuseppe Conte sul Pnrr. Elly Schlein, dopo giorni di vivace dibattito interno al Pd, mette un punto sulla questione. E insieme fa una mossa che sembra cercare di riprendere il filo del rapporto con il Movimento 5 Stelle. Un rapporto sempre complicato, ma in una fase particolarmente tesa in vista del voto di giugno.
«Ho già detto che molti del Pd firmeranno così come altri non lo faranno — dice Schlein interpellata sul quesito promosso dalla Cgil di Maurizio Landini —, io mi metto tra coloro che lo faranno. Non potrei far diversamente visto che è un punto qualificante della mozione con cui ho vinto le primarie l’anno scorso».
Tra i «molti che non firmeranno», però, c’è chi non la prende bene. Su tutti Marianna Madia, ministra del Lavoro nel governo Renzi che ha varato quella riforma: «Sono e resto contraria al referendum della Cgil e sottolineo che, come noto, nel Pd tanti come me sono contrari — dice al Corriere —. Poi se proprio la segretaria riteneva di dover firmare, se voleva fare questa forzatura, avrebbe potuto farlo prima di Conte. Avrebbe potuto evitare di lasciare al M5S la primazia».
Altri dem contrari al referendum riconoscono alla scelta della segretaria coerenza: «Non sono sorpreso — dice Alessandro Alfieri — dato che la segretaria è sempre stata molto critica su quella riforma. Sono inoltre certo che la sua decisione non impegni il partito, che sul punto ha sensibilità diverse». Piero De Luca, coordinatore dell’area Bonaccini, approfondisce: «Io non firmerò per il referendum che probabilmente non produrrà nemmeno l’effetto desiderato, dato che le norme sono state rimaneggiate nel corso di questi dieci anni». Si era espresso, nei giorni scorsi, anche Lorenzo Guerini: «Fossi in lei non firmerei».
La scelta dei tempi di Schlein però provoca una vera levata di scudi. «Si dovrebbe guardare al futuro, piuttosto che al passato — continua Alfieri — e si dovrebbe parlare di temi europei».
Una scelta dei tempi dettata dal promotore della campagna, il segretario della Cgil Landini, e dalla conseguente necessità di non lasciare l’asse con il sindacato al solo M5S. Schlein comunque tenta di non provocare troppo le «sensibilità diverse» abbandonando rapidamente l’argomento del referendum sul Jobs act in favore di un’altra iniziativa in tema di lavoro. «Adesso il Pd è impegnato nella campagna per Europee e amministrative e nella raccolta firme per il salario minimo — rilancia la segretaria —, una battaglia di civiltà. Sotto i 9 euro l’ora non è lavoro ma è sfruttamento e non può essere legale».
Ma la decisione su uno dei provvedimenti più rappresentativi dell’era Renzi apre una ferita, nella quale proprio l’ex premier rigira il coltello: «La segretaria del Pd — nota Renzi — firma per abolire una legge voluta e votata dal Pd. Tutto chiaro: loro stanno dalla parte dei sussidi, noi del lavoro. Amici riformisti, come fate a restare ancora nel Pd?». Di «gravissimo errore» parla anche Carlo Calenda.