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1 Ottobre 2022Da Bindi a Montanari e Chiti: «Risparmiateci la resa dei conti al congresso, è solo accanimento terapeutico». E sui M5S: «Con loro un’alleanza progressista»
Mario Lancisi
Mentre Dario Nardella al Foglio sostiene che un altro Pd è possibile, Rosy Bindi, ex ministro della sanità ed ex pasionaria dell’Ulivo di Prodi, alla Stampa ne auspica lo scioglimento. Altro che congresso: sarebbe «un accanimento terapeutico». E, assieme ad altre venti personalità della politica e della cultura, la Bindi lancia un appello al dialogo dentro il campo progressista per dar vita ad una costituente per «un’altra Cosa». Che nel lessico della sinistra, tra miraggio e indeterminatezza, ha sempre evocato una sorta di terra promessa.
Di toscani tra i promotori dell’appello figurano, oltre alla Bindi, senese di Sinalunga, il pistoiese Vannino Chiti, il pisano Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli, e i fiorentini Massimo Torelli, Altra Europa con Tsipras, e Tomaso Montanari, rettore dell’università per stranieri di Siena. Ora scatterà la raccolta delle adesioni e probabilmente farà parte della Costituente anche l’ex presidente della Regione Enrico Rossi: «Ne ho parlato con Chiti, ma deve essere lui a decidere».
Anche Vincenzo Ceccarelli, capogruppo regionale dei dem, pur sostenendo di voler far parte «del percorso stabilito dal Pd», plaude all’idea di una Costituente «che chiami a raccolta il mondo progressista». C’è poi chi sta a guardare, come l’ex parlamentare livornese Andrea Romano («preferisco non intervenire sul tema, almeno per ora») e chi è invece contrario come il costituzionalista Stefano Ceccanti: «Almeno a prima vista l’impostazione culturale non sembra condivisibile perché mira a non rifondare il Pd ma a scioglierlo in una unione indifferenziata con i Cinquestelle». Anche la massese Martina Nardi ritiene che la via maestra è quella del congresso: «La linea politica è stata sbagliata. Non credo che sciogliere il Pd sia la soluzione ma aumenterebbe solo il problema».
L’appello (tra i firmatari anche il sociologo Domenico De Masi e il giornalista Gad Lerner) è articolato su sei punti, di cui quelli più propriamente politici sono due. Che, non a caso, fanno riferimento alla prospettiva politica dell’alleanza tra Pd e M5S. Al Pd viene chiesto «di risparmiare a sé stesso e al campo progressista il rituale di un’inconcludente resa dei conti interna, che alla fine si riduce sempre a una “conta” per scegliere un nuovo segretario. Non è cambiando segretario che il Pd può rigenerarsi e recuperare la perduta rappresentanza dei bisogni e degli interessi popolari». Mentre al M5S si chiede di dimostrare «che l’approdo a posizioni progressiste non è meramente tattico, ma l’epilogo di un definitivo chiarimento identitario. E di non pensare che la tenuta elettorale consegni al Movimento il monopolio del campo progressista».
Per dirla con le parole di Montanari, i Cinquestelle sono chiamati a dimostrare affidabilità e coerenza rispetto «alle ultime evoluzioni». Anche Torelli si attende dal M5S una chiara identità di partito di sinistra. E mentre si dà il via con la raccolta delle firme al cantiere della sinistra che non c’è, due prospettive sembrano profilarsi all’orizzonte. Quella di chi vede, come Ceccanti, una sorta di riedizione «dell’unità delle sinistre» e chi invece come Chiti evoca lo spirito dell’Ulivo di Prodi: «Il mondo è cambiato e quindi il programma deve essere nuovo ma è ancora valido e attuale lo spirito di unire tutti i progressisti e di realizzare una vera sinistra plurale». Non si tratta di differenze da poco. Ceccanti pensa a Melenchon, cioè ad una sinistra radicale, Chiti invece a Prodi nel segno di un riformismo cattolico e di sinistra.
Ma al di là di queste diverse prospettive, resta il problema di fondo, come sottolinea Montanari, che la sinistra deve avere una visione di sviluppo economico e di giustizia sociale che non ha. Il segretario-traghettatore Enrico Letta intanto con una lettera ai militanti del Pd traccia il copione del congresso «costituente», stoppando le autocandidature: «È tutto in discussione, dal nome al simbolo, all’organizzazione. Congresso a quattro tappe con primarie. Tutti vogliamo una nuova leadership, ma purché non sia un casting».
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