Le cronache nazionali si sono accorte improvvisamente che esiste ormai da molto tempo l’autonomia scolastica. Se ne sono accorte non quando nei bilanci delle scuole sono entrate di prepotenza aziende piccole e grandi, non quando i dirigenti si sono improvvisati dispensatori di punizioni e ammonizioni di stampo politico o addirittura morale, neanche quando le procedure di reclutamento del personale hanno cominciato a perdere trasparenza ed equità.
Se ne sono accorte invece quando l’Istituto comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, nella zona orientale dell’area metropolitana milanese, ha deliberato la chiusura dei plessi scolastici per la giornata del 10 aprile, che coincide – per chi lo osserva – con la fine del periodo di Ramadan. Tra l’altro, la scuola già nell’anno precedente aveva adottato la stessa scelta e per l’anno scolastico in corso aveva da tempo deliberato (nel maggio 2023) la giornata di sospensione delle attività didattiche, comunicata a inizio anno alle famiglie e al territorio.
Si sono levate critiche e contestazioni, il ministro ha disposto un’ispezione: probabilmente come succede spesso la vicenda si chiuderà quando nelle cronache si passerà ad altre emergenze e ad altri scandali, come anzi già sta succedendo. La scelta della scuola di Pioltello tuttavia rivela qualcosa che va ben oltre i confini della cintura metropolitana milanese e riguarda tendenze e notizie che hanno a che fare con l’intero territorio nazionale.
ROVESCIARE IL PUNTO DI VISTA
Invece di considerare l’Iqbal Masih di Pioltello e le notizie che lo riguardano come un’eccezione proviamo a rovesciare il punto di vista. Proviamo a inserire la scelta di una scuola che agisce in un contesto territoriale caratterizzato da una significativa presenza di immigrazione straniera – e quindi anche da una presenza di pluralismo religioso – all’interno di una realtà sociale, economica, culturale nazionale dove l’immigrazione non è un’emergenza, non è un’eccezione, non è un fenomeno congiunturale ma costituisce al contrario una presenza strutturale, normale, frutto di un radicamento lungo decenni.
Rovesciando il punto di vista è tutto più facile da comprendere e da contestualizzare e inevitabilmente vengono alla luce tanti altri eventi, tante altre notizie che possono sostenere un approccio differente. Limitandoci solo alle cronache degli ultimissimi giorni, sulle pagine dei giornali sono comparse almeno altre tre informazioni che – pur appartenendo ad ambiti molto diversi tra loro – si possono leggere all’interno della stessa cornice.
L’ITALIA E L’IMMIGRAZIONE
Eurostat alla fine di febbraio ha aggiornato i dati europei sulle acquisizioni di cittadinanza e nelle scorse settimane sono state diffuse analisi e proiezioni rispetto ai nuovi dati. Nonostante l’impianto restrittivo della legislazione italiana, fermo ancora ai vincoli della legge 91 del 1992, l’Italia risulta in testa alle statistiche europee, avendo rilasciato nel corso del 2022 circa 213mila nuove cittadinanze a cittadini precedentemente dichiarati stranieri. Seguono Spagna e Germania.
Il dato è particolarmente interessante se messo a confronto con le difficoltà e le rigidità che affrontano in Italia coloro che intendono richiedere la cittadinanza: tra i 213mila ci sono persone residenti da circa una quindicina di anni, persone nate in Italia che hanno potuto chiedere la cittadinanza al diciottesimo anno di età e tante altre tipologie che attestano la presenza di una dinamica di inserimento lunga e costante e di un radicamento solido sul territorio.
Guardando alle nazionalità di provenienza, i dati sull’Italia mostrano la presenza di tre gruppi che da soli nel 2022 occupano circa il 40 per cento delle nuove cittadinanze: in testa c’è la nazionalità di provenienza albanese (38mila circa), seguita dalla marocchina (31mila) e da quella rumena (16mila). Come è evidente si tratta di dati che attestano un percorso verso la cittadinanza attivo a partire da comunità caratterizzate da una immigrazione ormai pluridecennale.
Sempre in tema di dati, negli stessi giorni in cui venivano pubblicati i dati Eurostat sulla cittadinanza usciva il nuovo Rapporto su immigrazione e imprenditoria che viene curato ogni anno dalla Fondazione Idos e dalla Cna (Confederazione nazionale artigianato e piccola e media impresa). La pubblicazione del Rapporto rivela la dinamicità e la vivacità del tessuto economico legato alle imprese nate nel mondo dell’immigrazione e gestite da cittadini stranieri.
Alla fine del 2022 risultano depositate nei registri ufficiali 647.797 imprese di cittadini stranieri residenti in Italia, un dato in aumento rispetto all’anno precedente. Il 31,8 per cento di queste sono attive nel commercio, il 23,9 per cento nell’edilizia. La regione dove sono più presenti è la Lombardia (19,1 per cento del totale), seguita dal Lazio (12,4 per cento del totale).
In tutto le imprese a conduzione straniera rappresentano il 10,8 per cento delle imprese registrate in Italia. Sono tre le principali nazionalità diffuse nel mondo degli imprenditori stranieri: la maggior parte è di origine marocchina (12,4 per cento del totale), seguono i rumeni (10,8 per cento) e i cinesi (10,7 per cento).
Ma lo sguardo sul dinamismo e sui cambiamenti innescati dalla presenza costante e duratura dell’immigrazione non può limitarsi ai semplici dati statistici, che pure contribuiscono a far emergere tendenze importanti.
Restiamo sempre nella cronaca, ma spostiamoci verso il mondo del lavoro. Lo scorso 14 marzo a Piacenza è stato annunciato un nuovo accordo sindacale sottoscritto nell’ambito del comparto della logistica, nello specifico nei magazzini del colosso Unieuro, che occupano circa 400 lavoratori.
L’accordo si inserisce in una lunga stagione di vertenze contrattuali che hanno trovato soluzioni capaci di alzare il potere di acquisto dei lavoratori, grazie al ciclo di lotte avviato nell’ultimo decennio soprattutto dai sindacati di base nel settore della logistica. Nello specifico si tratta di circa 3.000 euro all’anno in più strappate dalla contrattazione territoriale rispetto agli standard nazionali che potenzialmente potranno entrare nelle tasche dei facchini impegnati nel magazzino.
Cosa c’entra con Pioltello? C’entra, poiché la maggior parte dei lavoratori che hanno scioperato per ottenere tale risultato è di origine non italiana. L’intera filiera della logistica, soprattutto per quanto riguarda le attività di facchinaggio, ha assorbito nel corso degli ultimi anni una consistente fetta di manodopera migrante, che si è mostrata particolarmente attiva e combattiva nelle mobilitazioni sindacali, che hanno letteralmente trasformato il comparto, ottenendo successi e vittorie importanti. E i risultati ovviamente premiamo tutti: italiani e stranieri.
I CONTI CON LA REALTÀ
L’elenco potrebbe continuare a lungo. La presenza dell’immigrazione straniera in Italia rappresenta un elemento che fa parte a pieno titolo della storia degli ultimi 50 anni e forse anche di più. Si tratta di una presenza articolata, sfaccettata, multiforme, difficile da leggere in modo univoco. I dati relativi al 2023 ci raccontano che gli stranieri residenti in Italia sono circa 5 milioni e 50mila, mentre coloro che negli ultimi 15 anni hanno acquisito la cittadinanza italiana sono più di un milione. Non è più possibile immaginare di tenere fuori dalla porta il pluralismo culturale, il multilinguismo, l’ampliamento dei diritti sociali, il rispetto delle diversità, il contrasto delle disuguaglianze.
Tra i primi a riconoscere questa esigenza, quando di immigrazione si cominciava appena a parlare, fu proprio quello che si chiamava Ministero della pubblica istruzione, che nel 1990 emanò la circolare n. 205, nella quale si affermava che «l’obiettivo primario dell’educazione interculturale si delinea come promozione delle capacità di convivenza costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme».