PARIGI
L’abolizione della pena di morte? “Non sono sicuro che sia un progresso”. L’integrazione dei musulmani in Francia? “La maggior parte della gente vuole solo che smettano di rubare e aggredire, o che se ne vadano”. Così parla Michel Houellebecq, uno degli scrittori francesi più tradotti nel mondo, in un dialogo con il filosofo Michel Onfray. I due intellettuali si sono incontrati per oltre sei ore, spaziando dall’eutanasia all’Unione europea, dalla religione all’ecologica. La loro conversazione è stata raccolta in un numero speciale diFront Populaire, la rivista fondata da Onfray. “La fine dell’Occidente?” è il titolo in copertina. “Non ho niente da ridire su tutto quello ha scritto a proposito della civiltà” esordisce il filosofo, mostrando di condividere molte delle posizioni dello scrittore.
Entrambi pensano che l’Ue sia una rovina, non perdono occasione di attaccare gli Stati Uniti, sono più teneri con la Russia (“Putin ha fatto il passo più lungo della gamba” nota Houellebecq a proposito della guerra in Ucraina) e condividono una visione apocalittica sul declino dell’Occidente. Su questo non c’è grande sorpresa e i lettori che conoscono Onfray e Houellebecq ritroveranno opinioni espresse in modo argomentato e stile brillante. La novità semmai è l’ulteriore innalzamento del livello di provocazione da parte di Houellebecq, che assomiglia sempre di più a una lenta deriva. “La radicalizzazione verso l’estrema destra di uno scrittore di successo” ha titolato Le Monde riprendendo alcune delle dichiarazioni più controverse dell’autore diAnnientare.
Il romanziere, che nel dialogo si definisce “populista”, parla a ruota libera di alcuni temi feticcio, a cominciare dall’immigrazione. Appoggia la teoria del Grand Remplacement, la grande sostituzione, elaborata dall’intellettuale Renaud Camus e diventata manifesto dei suprematisti di destra. “Il cambiamento della composizione etnico religiosa della popolazione europea” osserva Houellebecq non è una teoria. “È un dato statistico”. Lo scrittore prende le distanze solo dall’idea che ci sia dietro un “complotto”, come scrive Camus, e riflette su soluzioni possibili. “Sarebbe necessario un controllo delle nascite e l’Occidente non può controllare le nascite africane, né i paesi africani”. “L’Europa — conclude — sarà spazzata via da questo cataclisma”.
Sui musulmani, l’autore di Sottomissione, si abbandona ai cliché più retrogradi. “Credo che il desiderio della popolazione autoctona, come si dice, non è che i musulmani siano integrati ma che smettano di rubare e aggredire, in breve che la loro violenza diminuisca, che rispettino la legge e le persone. Oppure, altra buona soluzione, che se ne vadano”. Houellebecq profetizza una guerra civile, dei “Bataclan al contrario”, con francesi che si armano e prendono di mira moschee e “caffè frequentati da musulmani”. Ricorda gli stupri avvenuti a Colonia e la cattiva coscienza di una sinistra che, secondo lui, non riesce a risolvere la contraddizione tra femminismo e islamismo. “Le femministe occidentali non sono così pericolose, sono vigliacche quanto gli uomini occidentali, altrettanto pronte a sottomettersi”. A proposito della maternità surrogata dice: “Se venisse legalizzata in Francia, scriverei testi violenti, e proprio insultanti, avrei piacere a trascinare nel fango quegli stronzi maschi o donne che ne fanno uso”. Come Onfray, Houellebecq critica il movimento “woke” in difesa delle minoranze, diffuso nelle università americane e ora francesi, e rilancia: “La nostra unica possibilità di sopravvivenza è che il suprematismo bianco diventi trendy negli Stati Uniti”.
È sulla pena di morte che lo scrittore perde qualsiasi freno inibitorio. “L’abolizione è un progresso?” si domanda e Onfray gli chiede: “Sta difendendo la pena di morte?” “Non lo so” risponde lo scrittore. “Quando guardo i programmi su diversi canali con tutti quei crimini atroci, mi faccio domande. Le famiglie delle vittime chiedono vendetta, è una reazione normale”. “La giustizia non è vendetta” obietta Onfray. “Sì, certo — prosegue Houellebecq — ma la nostra società si basa, tra l’altro, sul fatto che accettiamo di rinunciare alla vendetta individuale. È un grande sforzo. Lo Stato non dovrebbe vendicarci un po’?”. Nell’unico passaggio in cui filtra qualche imbarazzo nella conversazione, Onfray prova a immaginare che venga decapitato l’assassino di una persona cara, senza che questo la riporti in vita. “Starei un po’ meglio. Ripristina l’equilibrio” commenta il romanziere. Nel piccolo mondo editoriale francese, e forse europeo, ci sarà sempre qualcuno pronto a separare il giudizio su un’opera da quello su un autore. Ma il testo pubblicato da Front Populaire spiega forse perché gli accademici svedesi hanno preferito Annie Ernaux per il premio Nobel della letteratura.