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Palazzo Madama, 25 giugno. Giorgia Meloni inaugura la seduta con un ritornello degno di un talent-show: «Vorrei essere Conte, ma purtroppo sono Meloni». Risatine a destra, bocche cucite a sinistra. Subito dopo sfodera il latino da biglietto dei Baci: «Si vis pacem, para bellum». Tradotto: servono più missili, meno chiacchiere.
Elly Schlein ribatte che lo stratagemma di duemila anni fa è un po’ datato, riceve un mezzo applauso, inciampa nei mugugni dell’industria delle armi e nei malumori interni al suo partito.
Nel frattempo Matteo Renzi cala come guest-star: imita Berlusconi, offre a Carlo Calenda un «caffè senza cianuro» e intrattiene la Lega con battute sul terzo mandato. One-man show.
Giuseppe Conte, collegato dall’Aja, lancia “No Rearm – No War” davanti a platee europee dallo 0-virgola elettorale, assicurando che «se fossi premier direi no al 5 % di PIL per le armi».
Gran finale: una senatrice 5 Stelle cita la figlia della premier; la destra insorge, Meloni fa exit strategico tra le quinte. Bilancio del giorno: zero risposte su Iran, Ucraina e NATO, ma notevoli prove di karaoke istituzionale.