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Le sue opere, esposte nei musei e nelle gallerie di tutto il mondo, ne hanno fatto una delle artiste iraniane piùfamose all’estero. Le sue immagini e i suoi film, in cui spesso compare il suo volto trasfigurato come un’icona, raccontano con l’uso di un bianco e nero potente e con inserti calligrafici la dicotomia tra pubblico e privato e le costrizioni che le donne, ma non solo le donne, subiscono nel suo Paese d’origine.
Ora che la protesta delle giovani generazioni iraniane occupa lo spazio mediatico globale, Shirin Neshat, 65 anni, analizza con noi da New York, dove vive in esilio, questo movimento e la centralità del corpo femminile: come bersaglio dell’oppressione ma anche come strumento di liberazione.
Con “Woman Life Freedom” lei lancia un messaggio di solidarietà a chi si oppone al regime iraniano.
Come ha immaginato quest’opera?
«Negli ultimi due mesi, come la maggior parte degli iraniani, ho cercato di fare tutto il possibile per sostenere la rivoluzione “Donna, vita, libertà”, che ritengo uno degli eventi politici più stimolanti e monumentali della storia moderna dell’Iran. Ho partecipato alle proteste negli Stati Uniti, ho scritto sui social media, ho rilasciato interviste ai media iraniani e internazionali, condividendo alcune mie opere che in qualche modo incarnano le questioni di questa rivoluzione. In ottobre, la mia fotografia Moon Song (1995) è stata proiettata per alcuni giorni a Londra, in Piccadilly Circus. Rappresenta le mani di una donna; in un palmo c’è unpaisley ,un motivo tradizionale persiano che rappresenta l’aspetto lirico dell’identità iraniana; nell’altro palmo, due proiettili suggeriscono la violenza e la realtà di vivere sotto la Repubblica islamica. Alla Neue National Galerie di Berlino, invece, la mia foto Unveiling (1993) è stata appesa come uno striscione. È il ritratto di una donna: il testo inciso sul suo corpo esplora lo stato psicologico di tutte coloro che subiscono il velo obbligatorio».
Libertà, censura del corpo e della mente, rapporto tra religione e potere sono stati fin dall’inizio centrali nel suo lavoro artistico .
«La mia arte, in forma di fotografia, video o film, riguarda da sempre una serie di questioni che in quanto donna iraniana mi interpellano.
Anche se non mi interessa l’autobiografia, il mio lavoro èrimasto profondamente personale, inquadrando questioni e ossessioni che ritengo importanti, o che ho vissuto direttamente come donna iraniana che è stata il prodotto di una rivoluzione, quella del 1979, che è forzata a vivere in esilio e ha un rapporto irrisolto con il suo Paese. Le donne iraniane sono al centro delle mie narrazioni; sono al muro, emotivamente, psicologicamente e politicamente, tuttavia io le descrivo come ribelli, forti e provocatrici.
Questa è la mia scoperta del significato del femminismo in Iran: storicamente le donne iraniane, con i loro corpi, sono state ripetutamente usate per promuovere varie forme di ideologia religiosa e politica, e tuttavia hanno costantemente resistito, sovvertito e infranto ogni regola della società».
Che cosa pensa di questa giovane generazione iraniana che chiede di poter essere se stessa?
«L’assassinio di Mahsa Amini ha scatenato la rabbia che covava da anni tra donne di diverse generazioni. Per troppo tempo i loro corpi sono stati usati come campo di battaglia per la retorica religiosa del regime islamico. L’attuale resistenza femminile nasce dal rifiuto di essere identificate, come immagine e identità, con un governo oppressivo,e deriva dal rifiuto di dare algoverno il diritto di imporre i suoi codici morali ai loro corpi. Ma la lotta non riguarda solo l’ hijab obbligatorio: le donne in Iran sono state trattate come cittadine di seconda classe, private dei diritti fondamentali».
Ci sono state altre ondate di protesta in Iran negli ultimi quarant’anni. Questa è diversa?
«Penso che la differenza principale stia nel fatto che questa rivolta non ha riguardato problemi economici, l’alto prezzo della benzina o la disoccupazione, ma la condizione femminile. Il governo ha commesso un terribile errore, ha ucciso una donna, qualcosa di molto sacro nella nostra cultura. Ogni uomo nasce da una madre, può avere una sorella o una moglie, quindi gli uomini sono altrettanto feroci nell’ opposizione.
Assistiamo a una rivoluzione guidata per la prima volta da donne: è piuttosto potente e bello».
Pensa che i social media, così pervasivi nella vita delle giovani generazioni, abbiano svolto un ruolo importante nel connettere le ragazze e i ragazzi dell’Iran con il resto del mondo e tra di loro?
«Sì, senza dubbio lo stile di vita dei ragazzi e delle ragazze delle nuove generazioni è definito dall’accesso a Internet e ai social media, un accesso che ha aperto loro le porte del mondo, anche se potrebbero non aver mai lasciato il Paese. Per questa generazione i confini culturali e geografici sembrano essere stati infranti dal potere di Internet: una giovane iraniana può essere seduta nella sua stanza in una piccola città dell’Iran e comunicare con un giovane in un altro angolo del pianeta. E più questi ragazzi si espongono al resto del mondo, più si rendono conto di quanto manchino loro le libertà fondamentali, come la libertà di esprimersi attraverso lamusica, la danza, la moda, la stampa e le interazioni sociali. C’è un enorme divario tra i giovani e il governo.
Mentre la nostra gioventù vive nel XXI secolo, ed è pienamente aggiornata su come appare una moderna società libera, il regime islamico guidato da anziani mullah cerca di riportarla indietro, imponendo codici di vita e morali irrilevanti per la contemporaneità».
Come si può costruire un futuro democratico per l’Iran?
«Credo che sia una questione di tempo. Raramente ho visto gli iraniani così uniti dentro e fuori l’Iran e so che l’obiettivo di tutti è rimuovere questo regime che brutalizza i propri cittadini allo scopo di rimanere al potere. Una volta raggiunto questo obiettivo, credo che la leadership crescerà organicamente. Per quanto ne so, questa rivoluzione è stata finoracondotta dai giovani “senza leader”, ma una volta arrivato il momento giusto la loro volontà svilupperà le giuste strategie politiche».
Cosa possono fare i cittadini occidentali per aiutare coloro che lottano per un Iran diverso?
«È importante considerare la rivoluzione iraniana come un fenomeno non locale ma internazionale. I governi occidentali devono riconoscere che la Repubblica islamica non rappresenta il popolo iraniano, quindi non è un governo legittimo. E devono tagliare i rapporti diplomatici con un governo pericoloso che sta arrestando, torturando, stuprando e giustiziando i propri cittadini. A nostro avviso, ogni ambasciata iraniana che rappresenta questo governo dovrebbe essere chiusa».