L’appello di Risaliti “Senza l’aiuto dei privati è difficile fare cultura”
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26 Giugno 2022L’oro blu.
di Germana Marchese
“Serenamente contemplava la corrente del fiume, mai un’acqua gli era tanto piaciuta come questa, mai aveva sentito così forti e così belli la voce e il significato dell’acqua che passa. Gli pareva che il fiume avesse qualcosa di speciale da dirgli, qualcosa ch’egli non sapeva ancora, qualcosa che aspettava proprio lui”
Se avessimo la fortuna di imbatterci nel vecchio traghettatore di Siddhartha, riusciremmo una buona volta ad imparare ad ascoltare la voce del fiume?
Apparentemente il nostro arcano desiderio spirituale, la nostra sete di ricongiungimento con la natura, si risvegliano in ogni occasione di stress idrico, quando il pericolo di siccità incombe. Del resto “l’acqua è insegnata dalla sete”. Emily Dickinson aveva ragione a scriverlo in versi.
L’acqua, metafora di vita da sempre, ora scarseggia, perdiamo biodiversità a vista d’occhio e assistiamo attoniti al degrado degli ecosistemi. Il riscaldamento globale moltiplica le forniture algali nocive e peggiora la qualità di un bene primario, essenziale, che ora diviene un lusso pagato a carissimo prezzo. L’oro blu appunto, la ricchezza preziosa che spinge a correre ai ripari per non restare all’asciutto; i comuni si affrettano a sfornare ordinanze per limitare l’approvvigionamento, sanzionano, urgono soluzioni basate sulla natura, NBS le chiamano gli esperti europei.
Eppure episodi di siccità ed inondazioni si alternano da anni, generando pericolose ondate migratorie e picchi nel numero di violenza all’interno dei paesi in crisi, dove buona parte del sostentamento deriva dalla produzione agricola. Se si calcola che tre posti di lavoro su quattro nel mondo dipendono dall’acqua, non è inverosimile che entro il 2030, almeno settecento milioni di sfollati siano costretti a cercare riparo da siccità, carestie e guerre. Scenario raccapricciante ma ben noto e prevedibile. L’uomo migra e di solito, nei paesi in via di sviluppo, donne e bambini restano, in condizioni di estrema difficoltà, vittime di patologie correlate alla carenza d’acqua e di igiene.
Sicché la mancanza d’acqua genera diseguaglianza, minaccia per la salute e crisi di approvvigionamento energetico. Come se la guerra non fosse stata sufficiente a mettere in crisi il nostro equilibrio futuro! Non si sapeva anche questo? Tutto già scritto, anche a livello locale, l’allerta esisteva. Tanto è vero che nelle scorse amministrative, nel programma elettorale di Per Siena, c’erano proposte di implementazione di bacini ed invasi idrici artificiali.
Cosa è stato realizzato?
Invece di progredire, regrediamo, viviamo un ritorno al passato, in uno scenario ben più drammatico di quello già visto.
Da bambina vivevo la mia vita a metà tra città e campagna. D’estate, durante la prima fanciullezza, trascorrevo intere giornate tra i braccianti. Ho imparato molto, a dare valore alle piccole cose e soprattutto ad ascoltare. Non solo la natura ma l’arte del racconto, in dialetto, ognuno di loro l’insegnava a me perché l’aveva praticata nelle lunghe veglie invernali. Chiedevo, mi raccontavano. Molto meglio della televisione. Come si faceva a vivere senz’acqua nelle case? Senza servizi poi, come avevano fatto per tutto quel tempo? In alcune occasioni di visita, ritrovavo in un angolo di qualche vecchia dimora, un catino ed una brocca smaltati, mi dicevano col sorriso che nelle giornate di freddo invernale, servivano a ben poco, l’acqua ci si trasformava in ghiaccio, era impossibile lavarsi. Nelle cucine, nel grande camino, un paiolo conteneva l’acqua da scaldare sul fuoco ma serviva soprattutto per bollire fagioli. Per lavarsi, come intendiamo oggi, un bagno completo era una cerimonia occasionale, una tinozza nella stalla o nella stanza più calda e via, immersioni a turno. C’era una sorgente vicino al casale, c’è ancora, chissà, forse ora è asciutta. Ricordo un’acqua leggera e freschissima, ci andavo a bere d’estate, arrampicandomi sulla cima della vasca di raccolta, risento il rumore delle cicale, era da lì che qualche anno prima, donne e bambini avevano attinto per colmare le brocche ed i fiaschi da portare a casa. Ci voleva un pò di tempo per arrivarci dal paese, io mi ci divertivo lungo quel sentiero, ma le donne del posto mi raccontavano che da bambine, invece di andare a scuola, la loro incombenza era la raccolta dell’acqua. Su e giù, col caldo e col gelo, con i secchi sulle spalle e gli zoccoli di legno. Non di rado, di quei tempi, mi capitava di vederne ancora di donne del posto riunite al “fontanile dei panni”. Una specie di rito. Mi ci fermavo sempre, le sentivo ridere e cantare. Nel passato avrebbero usato la cenere delle stufe o dei camini per disinfettare il bucato, allora il profumo del sapone impregnava i grandi carichi di panni bagnati.
L’acqua allora si procurava a fatica ma c’era. Se non corriamo ai ripari rimpiangeremo il passato