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19 Dicembre 2025Siena, una transizione bloccata. Economia, istituzioni e spazio urbano nella crisi di un modello locale
Una riflessione sul Documento unico di programmazione e, più in generale, sullo stato di Siena. Non un commento contingente, ma un tentativo di ricondurre il dibattito al nodo di fondo: quale modello di sviluppo, quale ruolo delle istituzioni, quale idea di città.
Mi scuso per la lunghezza di questa riflessione, ma la discussione sul Documento unico di programmazione 2026–2028 lo richiede. Il DUP non è un atto tecnico neutro: è il luogo in cui una città dichiara a se stessa che cosa pensa di essere e che cosa intende diventare. Proprio per questo, leggerlo solo come un insieme di opere, di equilibri contabili o di scelte prudenti significa eluderne il significato più profondo.
A partire dal DUP, e solo apparentemente andando oltre, è necessario interrogarsi sul modello di sviluppo sotteso alle scelte di bilancio, sulla loro coerenza con le trasformazioni economiche e sociali in atto e sulla capacità dell’amministrazione di governare una transizione che, a Siena, non è più congiunturale ma strutturale. Le considerazioni che seguono nascono da questa esigenza: riportare il DUP al suo vero oggetto, cioè il futuro della città.
Siena, una transizione bloccata. Economia, istituzioni e spazio urbano nella crisi di un modello locale
Il declino di Siena non coincide con un singolo evento, né con una crisi improvvisa. È il risultato di una transizione incompiuta: un modello di sviluppo che ha perso progressivamente efficacia senza che ne sia stato costruito uno nuovo capace di sostituirlo (Gramsci). Per molto tempo questo processo è rimasto poco visibile, attenuato dalla forza simbolica della città, dalla rendita storica e da un benessere diffuso che sembrava strutturale. Quando gli effetti sono emersi con chiarezza, le basi economiche, sociali e istituzionali erano già indebolite.
Siena è stata a lungo una città “anomala” nel panorama italiano: piccola, priva di una solida base industriale, difficilmente accessibile, ma capace di garantire occupazione qualificata, servizi avanzati, coesione sociale e un elevato livello di spesa pubblica e para-pubblica. Questo equilibrio si reggeva su funzioni rare, su un sistema istituzionale forte e su una capacità di mediazione che trasformava risorse economiche e simboliche in stabilità sociale. Quando alcune di queste funzioni hanno iniziato a ridursi, l’intero sistema ha perso tenuta.
Il primo segnale del declino, a Siena, è stato la progressiva riduzione della capacità di generare reddito stabile e qualificato. Non una caduta improvvisa dell’occupazione, ma uno slittamento lento verso lavori più fragili, meno produttivi, spesso legati alla stagionalità e al consumo turistico. A lungo questo processo è stato mascherato dalla tenuta dei consumi e dall’idea che la città potesse vivere di rendita culturale e simbolica. In realtà, la perdita delle funzioni forti ha prodotto effetti trasversali: sul commercio, sulle professioni, sull’attrattività per le imprese, sulla capacità di trattenere competenze.
A rendere più acuta la crisi è intervenuto uno squilibrio crescente tra costo della vita e livelli salariali. Siena è rimasta una città cara mentre ha smesso di essere una città capace di offrire redditi elevati e carriere solide. Il mercato dell’abitazione, la pressione degli affitti brevi, la scarsità di soluzioni accessibili per giovani e famiglie hanno accelerato un processo selettivo: chi può se ne va, chi resta spesso lo fa in condizioni di precarietà o di dipendenza dalla rendita. Questo squilibrio non è neutro: riduce la domanda stabile, impoverisce il tessuto sociale e indebolisce la prospettiva di lungo periodo.
Il dato demografico, a Siena, non è un semplice indicatore statistico ma un moltiplicatore della crisi. L’invecchiamento della popolazione, la perdita di giovani qualificati, la difficoltà a trasformare studenti e ricercatori in residenti stabili hanno progressivamente ridotto la base sociale attiva della città. Meno residenti in età lavorativa significano minore capacità fiscale, minore dinamismo economico e maggiore pressione sui servizi sociali e sanitari. In assenza di un ricambio generazionale adeguato, la città tende a difendere l’esistente anziché investire nel futuro.
Il secondo nodo riguarda il funzionamento delle istituzioni locali. Siena ha conosciuto una lunga fase in cui la capacità di regia politica e istituzionale era forte, talvolta accentrata, ma efficace nel coordinare interessi diversi e nel costruire strategie di medio periodo. L’indebolimento progressivo di questa capacità ha prodotto una lunga stagione di governance difensiva. La città ha continuato ad amministrarsi come se il modello storico fosse ancora valido, rinviando il momento in cui riconoscerne la fine e affrontarne le conseguenze.
Questa debolezza si manifesta soprattutto nella frammentazione delle politiche. Lavoro, casa, università, mobilità, turismo e welfare vengono affrontati come ambiti separati, quando a Siena dovrebbero essere pensati come parti di un unico sistema urbano. Ogni scelta, presa isolatamente, può apparire razionale; nel loro insieme, producono un fallimento di coordinamento che penalizza l’intera città. È qui che il DUP mostra il suo limite principale: l’assenza di una visione capace di integrare le politiche in un disegno coerente.
Anche l’università, che resta una risorsa fondamentale, fatica a svolgere un ruolo trasformativo. Siena ospita studenti e ricercatori, ma li trattiene poco. In mancanza di politiche esplicite su lavoro, casa e qualità urbana, la conoscenza diventa flusso temporaneo, non capitale stabile. La città beneficia della presenza universitaria, ma non riesce a trasformarla in sviluppo duraturo.
Il terzo livello della crisi riguarda la forma urbana e culturale. Siena è una città storica straordinaria, ma proprio per questo esposta al rischio di musealizzazione. La perdita di residenti nel centro storico, la riduzione dei servizi quotidiani, la crescente dipendenza dal turismo trasformano progressivamente lo spazio urbano in una scenografia. Non è un processo improvviso, ma una lenta sostituzione di funzioni: la città smette di essere luogo di vita ordinaria e diventa luogo di consumo temporaneo.
Il turismo, se non governato, rafforza la rendita immobiliare e spinge il mercato del lavoro verso forme deboli e stagionali. A Siena questo rischio è particolarmente evidente. La città continua ad attrarre visitatori, ma fatica sempre più a offrire prospettive a chi vorrebbe viverci stabilmente. La conseguenza è una perdita di densità sociale che incide sulla qualità dello spazio pubblico, sulla sicurezza percepita e sulla vitalità dei quartieri.
Anche le politiche urbane riflettono questa ambiguità. L’attenzione all’immagine, agli eventi, alle opere visibili tende a prevalere sulla cura dell’uso quotidiano della città. Eppure sono la semplicità dei servizi, la mobilità, l’accessibilità, la possibilità di conciliare lavoro e vita familiare a determinare la scelta di restare o andarsene.
Nel loro insieme, questi elementi delineano una crisi strutturale. Il declino di Siena non deriva da una singola decisione sbagliata, ma dal ritardo con cui è stata riconosciuta la fine di un modello storico. In assenza di una strategia integrata, la città rischia una stagnazione prolungata: non abbastanza povera da esplodere, non abbastanza dinamica da rigenerarsi.
La conclusione è netta. Nessuna politica settoriale, nessuna opera pubblica, nessun evento potrà invertire da solo questa traiettoria. Serve un nuovo patto urbano fondato su lavoro di qualità, residenzialità, integrazione tra conoscenza e territorio e una capacità istituzionale di orientare le trasformazioni. Il vero nodo, per Siena, non è arrestare il cambiamento, ma governarlo. Dove questo non avviene, il declino assume la forma più insidiosa: lenta, silenziosa, apparentemente reversibile, ma cumulativa.
Il dibattito sul DUP e lo scarto con la crisi reale
Il dibattito consiliare sul Documento unico di programmazione e sul bilancio previsionale 2026–2028 rende evidente questo scarto. Il linguaggio prevalente è quello della prudenza, dell’equilibrio contabile, della gestione ordinaria. “Conti in ordine”, “realismo”, “assenza di voli pindarici”: categorie legittime, ma insufficienti di fronte a una crisi strutturale.
A Siena, la gestione prudente rischia di diventare una forma di conservazione passiva. Il bilancio viene difeso come fine, non utilizzato come strumento di trasformazione. L’indebitamento per investimenti strategici, la leva fiscale come strumento redistributivo, il ruolo economico del Comune restano sullo sfondo, trattati come ipotesi marginali.
Il confronto della politica si concentra su singole opere, sulla distribuzione territoriale degli interventi, sull’utilizzo delle entrate straordinarie. Manca una discussione esplicita sul modello di città che il DUP sottintende. L’idea che governare coincida con aprire cantieri riflette una concezione infrastrutturale dello sviluppo che non risponde alle fragilità profonde di Siena.
Anche la gestione delle risorse del PNRR viene presentata prevalentemente come prova di efficienza amministrativa. Ma la vera questione non è se le risorse siano state spese correttamente, bensì se gli investimenti siano coerenti con una strategia di rilancio economico e sociale di lungo periodo.
Siena viene oggi amministrata come se si trovasse in una fase di normalità, mentre i segnali economici, demografici e sociali indicano una transizione profonda non governata. È questo scarto, più che singole scelte, a spiegare la diffusa sensazione di immobilismo. Finché il problema verrà definito a un livello inferiore rispetto alla sua reale portata, anche politiche formalmente corrette rischieranno di contribuire, per inerzia, al consolidamento del declino.
Pierluigi Piccini





