Dubbi e disagio dei cattolici pd
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31 Gennaio 2024Conte e Schlein si incontrano per il libro di Speranza sulla pandemia. Distinguo e dispetti
Roma. “Speriamo che non chiudano la porta, altrimenti scatta un altro lockdown”, dice uno spiritoso commesso di Montecitorio appena riconosce le personalità sedute in prima fila: Miozzo, Rezza, Ippolito. Protezione civile, virologi, medici. Mezzo Cts che fu. I corifei del bollettino pomeridiano. E poi Sileri e Zampa, già viceministro e sottosegretaria alla Salute. Alla sinistra della sala della Regina ecco seduti Dario Franceschini e Massimo D’Alema. C’è pure Bersani. Speriamo che nessuno chiuda la porta altrimenti scatta un altro congresso del Pd. Anche perché sul palco – per il tormentato libro di Roberto Speranza – ci sono i cordiali rivali Giuseppe Conte ed Elly Schlein. Il centrosinistra che vuole uscire dal lockdown.
Modera Lucia Annunziata che visti gli ospiti scherza: “Se non tiro fuori almeno due notizie smetto”. I titoli in effetti usciranno fuori, così come i distinguo fra l’ex premier, sempre puntuto, e la segretaria del Pd, costretta ad abbozzare. In sala ci sono quasi tutti i ministri del governo giallorosso (mancano Di Maio e Guerini) e si respira “una nostalgia canaglia” dei tempi che furono, scherza Stefano Patuanelli. “Se fossimo andati al voto, quando Renzi fece cadere Giuseppe, il centrosinistra avrebbe vinto”, si lancia Speranza, ex titolare della salute e autore di “Perché guariremo”, opera sfortunata in quanto uscita alla fine della prima ondata di Covid e subito ritirata dal mercato appena scoppiò la seconda. Il libro – edito da Solferino – vanta però capitoli integrativi, come si legge sulla copertina.
Mentre fuori da qui Meloni divide et impera, dentro la sala c’è la bolla del centrosinistra. Con i suoi rammarichi, la conta a chi ha sbagliato più forte, l’autoanalisi, il capo M5s che punzecchia Draghi (“su di lui c’è stata una rimozione”, dice a proposito della commissione parlamentare sulla gestione del virus). Annunziata chiama Schlein “l’innocente nella stanza”. E la definizione ci sta tutta. Non tanto per la gestione del Covid, ma per il contesto in generale. Lui e lei, Giuseppe ed Elly. Più Romolo e Remo che Castore e Polluce. Si capisce tutto prima che inizi il dibattito. Schlein arriva dopo Speranza, e non dichiara davanti alle telecamere. Conte, come al solito, si fa attendere quindici minuti e poi guizza come un pesce nel mare del circo mediatico: “Il governo dei patrioti sul caso Salis…”.
La traversata nel deserto sarà lunga per le opposizioni, così come la corsa nel sacco a pelo dei due leader. Lei dissimula, lui cortese alla fine non gliele manderà a dire. Eppure si abbracciano, a favor di flash, e si danno due bacetti sulla guancia. Schlein non saluta Franceschini né D’Alema. Il quale, al contrario, sorride e applaude Conte in più di un’occasione. Speranza punge due volte “l’amico Giuseppe” quando gli ricorda l’ambiguità su Trump e Biden: “Mi si sono rizzati i capelli”. L’ex premier dirà, in parziale retromarcia, che “i due non sono sullo stesso piano, ma che dovremo avere buone relazioni con il presidente di turno se ci predisponiamo a una alternativa di governo”. Salvo affondare sul Pd: gli si rizzano i capelli quando vede “un partito così bellicista”. Aspettando Meloni, Schlein si allena con Conte. Che partendo da una posizione di svantaggio elettorale si dimostra più sparagnino. Forte del concetto: nessuna sindrome di inferiorità verso l’alleato. “Lavoriamo con il Pd senza pregiudizi”, dice il capo del M5s che ventiquattro ore prima ha scavato una trincea con il Nazareno sugli Usa, ma anche sulla Rai. Bersani si sfoga: “Il vaffa del M5s sulla Rai non va bene, non può dire che solo il Pd lottizza: dobbiamo fare opposizione uniti, mica pettinare le bombole, qui serve un’alternativa di governo”. Al momento, fanno notizia i distinguo. E una certa costante pazienza che rasenta l’ingenuità di Schlein, dissimulatrice cortese visti gli sgarbi quotidiani di Conte. Non è un mistero che l’ex premier sogni di tornare a Palazzo Chigi, lo promise a se stesso quando arrivò Draghi. O comunque, per cominciare, di essere un giorno il candidato premier del centrosinistra a scapito indovinate di chi? Ecco la segretaria del Pd: “Prima facciamo un accordo per le regionali è meglio è”. Ma subito l’altro dioscuro: “Però serve un percorso serio”. Sotto un drappo rosso della Camera, che fa molto congresso del Pcus lei parla di “convergenze”. Lui di “ostacoli da rimuovere”. Sono diversi e chissà quanto compatibili. I rispettivi staff si guardano in cagnesco. Conte parla davanti ai suoi ex ministri e sottosegretari, Schlein ha su di sé gli occhi di mezzo partito che vorrebbe sbolognarla. Si sente assediata, come confida al cerchio ristrettissimo dei collaboratori. Percezioni che non emergono. Il capo del M5s, più a suo agio rispetto all’alleata, diventa anche un po’ maramaldo quando rivela: “Io ed Elly ci sentiamo sempre e ci parliamo spesso: nessun problema”. Schlein mette su spesso un sorriso quasi bambinesco. Freschissimo. Convinta che ancora una volta non la vedranno arrivare.