L’architetto tra sacro e profano
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17 Luglio 2022In Radiorecita su Marcel Proust, curioso testo radiofonico di Giacomo Debenedetti incentrato sul Jean Santeuil trasmesso dal Terzo programma della Rai l’1 ottobre 1952 e pubblicato nello stesso anno da Macchia, ci sono vari accenni alla figura di Bernard de Fallois che, oltre al romanzo succitato, uscito in tre volumi per Gallimard, ritrovò anche i frammenti che composero il Contre Sainte-Beuve. Il critico cita alcuni passaggi di André Maurois, prefatore del Jean Santeuil e autore di una celebre monografia proustiana, contrapponendoli a un’asserzione di Montale: «Ho avuto occasione di parlare a Parigi col signor de Fallois e ho dovuto constatare che il cane da tartufi è proprio lui e che nessuno potrebbe uguagliarlo nell’arte del collage letterario». Segue una serie di riflessioni, affidate ai personaggi della radiorecita (di volta in volta un Critico, una Donna, due Lettori, il Pubblico, oltre al Prologo iniziale), in cui si delinea il paradossale caso di un pasticheur che è un «imitatore (…) più abile del maestro: capace di rifare un Proust coi tratti ancora incerti, già tutto lui e non ancora lui». Queste riserve, a prescindere dal carattere ambiguo che riveste quello che Debenedetti definisce il «rammendatore» o «ricucitore», con il tempo sono completamente decadute e de Fallois si è imposto, oltre che per la sua attività di editore, come uno dei maggiori specialisti proustiani.
Ora, in occasione del centenario della morte di Proust, che segue a distanza di un anno il 150° anniversario della nascita, La nave di Teseo manda in libreria due volumi che apportano nuova linfa alle ricerche, pur nutritissime, intorno all’opera dell’autore della Recherche. Si tratta delle prose raccolte sotto il titolo I settantacinque fogli e altri manoscritti inediti («Oceani», pp. 464, € 20,00) e dei Saggi su Proust di Bernard de Fallois («I fari», pp. 544, € 26,00). I settantacinque fogli, trascritti e commentati da Nathalie Mauriac Dyer e tradotti diligentemente da Anna Isabella Squarzina, furono ritrovati in una cartella dopo la scomparsa di de Fallois, avvenuta nel 2018. In questi testi ricorrono tematiche che saranno sviluppate, come per partenogenesi, in alcuni punti cruciali della Recherche: il bacio negato della buonanotte, la banda delle fanciulle in fiore, i soggiorni a Balbec e Venezia, la poesia dei nomi, i due versanti contrapposti di Guermantes e Swann (qui chiamati Villebon e Meséglise). Ma il loro carattere frammentario, decontestualizzato dal grande affresco narrativo proustiano, li collega piuttosto, sebbene la stesura sia successiva di un decennio, alle novelle di Il corrispondente misterioso (Garzanti, 2021), portate alla luce sempre da de Fallois e dallo stesso edite nel 2019. L’impressione è analoga: nonostante i Settantacinque fogli (in realtà 76) siano presentati come una Recherche ante litteram («Ici commence À la recherche du temps perdu» recita la bandella dell’edizione originale, edita da Gallimard l’anno scorso), ci troviamo di fronte a un coacervo di minute allestite per lo più di getto, prive sia della disinvoltura compositiva, seppur procedente a strappi, del Jean Santeuil sia degli spunti poetici e polemici del Contre Sainte-Beuve (si veda la concezione biografica in Sainte-Beuve, ridimensionata da Proust a favore di quel quid che contrassegna il rimosso, se non addirittura l’indicibile, sotteso a un processo psicologico tormentato).
Nonostante l’accanimento con cui la critica genetica affronta gli avantesti – gli apparati al riguardo sono ineccepibili –, la lettura risulta faticosa, imperniata com’è su innumerevoli cancellature e varianti, appesantita da una quantità spropositata di note. Solo a tratti si incista nel cielo di cobalto la spilla d’oro di qualche cometa. Come osserva Daria Galateria nell’introduzione, le descrizioni sono più aderenti alla biografia dell’autore – la curatrice parla di «autobiografia esplicita» – rispetto alla Recherche: all’impersonale «io» del narratore si sostituisce il patronimico Marcel, mentre mamma, nonna, luoghi conservano i loro nomi reali.
Se in chiave filologica un lavoro del genere è quanto mai utile, non altrettanto si può dire sul piano del barthesiano «piacere del testo», in quanto i brani presentati reggono il confronto con la lectio maior solo in ambito comparatistico. Tuttavia va riconosciuto il fatto che, con queste nuove pubblicazioni proustiane, cambia di gran lunga la concezione che avevamo di un autore che, come Giano bifronte, indirizzava lo sguardo in direzioni opposte: da una parte il personaggio mondano, intossicato dall’accidia, che si accanisce a frequentare il Faubourg Saint-Germain apparentemente senza costrutto, volando da un’élite all’altra come il «farfallone amoroso» di mozartiana memoria, ben rappresentato dalla prova acerba di Les Plaisirs et les jours, che presuppone il ricorso al pastiche avallato da Anatole France, sul cui cadavere si scaglieranno di lì a qualche lustro gli avvoltoi surrealisti; dall’altra il malato che, al pari di uno stilita in cima a una colonna, si riconcilia con la propria malattia attraverso l’andirivieni di una memoria ondivaga, rinchiudendosi in un appartamento insonorizzato e annullandosi nell’atto di concepire una cattedrale di carta modellata su cahiers e paperoles. Qui il protagonista perde e si riappropria del tempo tramite un pulviscolo di parole che volteggiano come falene intorno alla fiamma della memoria involontaria e delle intermittences du cœur. Tra i due poli il diaframma del Jean Santeuil, del Contre Sainte-Beuve.
No, ora capiamo che le cose non stavano così. Ce lo ricorda lo stesso de Fallois nei suoi Saggi su Proust, ben tradotti da Viviana Agostini-Ouafi e Fabrizio Ascari. L’idea di dedicarsi a un nucleo di prose che sfocerà nel progetto articolato della Recherche, procedendo per graduali approssimazioni, è stata sempre perseguita, non esiste alcuna cesura; lo documentano i Settantacinque fogli, riconducibili al 1908 ma rielaborati fino al 1912 (l’episodio della madeleine, presente in Du côté de chez Swann, è prefigurato nel Contre Sainte-Beuve e in un frammento dei cahiers qui raccolti, dove però si parla di pane raffermo inzuppato nel tè). Si tratta di un «Proust avant Proust», che si intestardisce intorno a una sequela di tematiche che dovrebbero manifestare – od occultare, a seconda dei casi – un’ipersensibilità patologica, da algolagnico. Si veda il continuo tentativo di dissimulare un’omosessualità rifratta dal prisma di multiformi personaggi e situazioni: Albertine/Agostinelli, la sceneggiata delle scostumate filles en fleurs, la fustigazione di Charlus… Osserva de Fallois: «Trent’anni dopo la sua morte, la scoperta dei manoscritti ignorati di Proust rivela la sua vera vita, la sua vita segreta, la sua vita di creatore. Non aveva mai “perso” tempo. Non aveva mai smesso di lavorare. Il suo grande progetto era stato concepito fin dall’adolescenza, e non al tramonto della sua vita».
L’intento di de Fallois è chiaramente propedeutico: non è un caso che il suo libro si suddivida in due sezioni. Nella prima vengono accolte le trascrizioni di sette conferenze tese a sondare le stratificazioni del pensiero proustiano, correggendo interpretazioni eccentriche come quella riguardante la supposta correlazione tra «frase lenta, volubile e insinuante» (Debenedetti) e l’asma di cui soffriva. L’autore si sofferma inoltre a investigare il tema dell’umorismo che risulta tuttavia un po’ ridondante. Sostenere che nella lettura di certi passaggi della Recherche si rida a crepapelle mi sembra eccessivo, anche se è incontestabile che serpeggi un’ironia che cadenza le vicende del romanzo. Proust descrive un mondo di cui percepisce la fine imminente e, al contempo, ne rimarca gli aspetti anacronistici: snobismo, egoismo, mancanza di empatia tra i personaggi. Rimpiange tali ingranaggi primitivi che cerca di manomettere dall’interno al fine di facilitarne il processo irreversibile di dissoluzione, lui stesso si maschera in maniera artefatta, come quando riscuote successo con i suoi sodali imitando gli atteggiamenti affettati di Montesquiou. Se la comparazione con la Comédie humaine è ormai consolidata, meno scontate appaiono le analogie con Pascal o Chateaubriand.
La seconda parte del libro è ripartita a sua volta in due sezioni: alla prima, concepita come introduzione alla Recherche, segue un florilegio di massime e pensieri, effettuato dallo stesso de Fallois, che avvalora la convinzione che Proust, inibito della sua adesione a un processo verbale dispotico e totalizzante, poco abbia da spartire con gli aforismi di Pascal e La Rochefoucauld.