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3 Marzo 2023Il presidente dei medici di emergenza urgenza: «La lettera dei 288? Talmente frustrati da bypassarci»
Giulio Gori
«La lettera dei 288 medici è un brutto segnale: fa capire il livello di sofferenza cui il settore è arrivato». Marcello Pastorelli, presidente toscano di Simeu, la Società italiana di medicina di emergenza urgenza, racconta le gravissime difficoltà in cui versano i pronto soccorso. E parla di «almeno un decennio di ritardo» su provvedimenti necessari e tuttavia mai assunti.
Perché è un brutto segnale?
«Il fatto che sia un’iniziativa autonoma da parte di tanti medici non è solo la prova delle loro difficoltà. Ma anche che l’insofferenza è arrivata al punto tale da bypassare i sindacati, che hanno il dovere di gestire gli interessi di tutta una categoria».
Sta dicendo che si profila una guerra tra medici?
«No, non siamo a questo punto, un medico è sempre un medico, non viene meno la solidarietà. È evidente però che l’emergenza urgenza vuole portare a galla il senso della propria desolazione. E della propria unicità».
Perché un medico di pronto soccorso è così sotto pressione?
«Conosco colleghi che questo mese faranno 210 ore di lavoro, contro un orario standard di circa 160, con 11 turni di notte. È una missione al limite della resistenza. La qualità della vita è pessima, le prospettive di carriera limitate, viste le carenze di organico si saltano i riposi, le ferie. E nei turni di notte, di 12 ore, un medico visita 30-40-50 pazienti, non ha un minuto per prendere fiato. E quando si è stanchi, è più facile sbagliare».
Quanti medici di pronto soccorso mancano?
«Ne abbiamo circa 700, ce ne vorrebbero almeno mille. Senza fare la guerra del tutti contro tutti, stare in un pronto soccorso non è come lavorare di giorno dal lunedì al venerdì. Ma lo stipendio è lo stesso».
Quindi il problema è anche economico?
«Lo è in piccola parte, ma contribuisce alla frustrazione. Teniamo conto che in altre regioni, a gettone, si lavora nei pronto soccorso con stipendi più attrattivi, meno turni e una qualità di vita migliore. In questo settore, poi, non è neanche possibile fare libera professione».
Il boarding — i pazienti che restano in attesa di un letto in corsia — sembra il problema più sentito.
«È vero e il motivo è che negli anni è stata tagliata un’infinità di posti letto».
Paziente che aspetta, paziente che protesta?
«È così, i pazienti e ancor più i loro parenti si lamentano. E a loro non interessa sapere di chi sia la responsabilità. Ma per il medico aumenta il senso di impotenza».
L’idea della Regione di trasferire nei pronto soccorso specialisti di altre discipline per farsi carico dei codici minori è giusta?
«Credo di sì, ma solo come soluzione tampone. Ma se continua la deriva di medici che si dimettono, di sicuro non risolviamo il problema».
Ma le scuole di specializzazione in emergenza urgenza sono vuote. Quindi neppure in cinque anni la situazione si può normalizzare?
«La politica dovrebbe prendere decisioni coraggiose, anche per mandare un messaggio a chi questo lavoro pensa di farlo. Aumentare le risorse per i pronto soccorso e i posti letto, potenziare la medicina del territorio…».
Se ne parla da anni, ma…
«Ma non si è fatto molto. Anche le strutture previste grazie al Pnrr, senza risorse per il personale rischiano di restare scatole vuote. Purtroppo si è aspettato troppo, siamo 10 anni indietro. E ora la situazione è molto più difficile da “curare”».
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