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Un evidente passo indietro dell’Ue, che non riesce a dare risposte convincenti ai problemi fondamentali dell’immigrazione e dell’asilo. È l’opinione dell’arcivescovo di Ferrara Gian Carlo Perego, presidente della fondazione Migrantes della Cei, sull’accordo sui migranti raggiunto a fatica nei giorni scorsi dai ministri europei e che verrà sottoposto dalla Commissione di Bruxelles al Parlamento europeo.
«Certo – premette il vescovo – da una parte è positivo che i ministri dell’Interno europei, che non si vedevano e non ragionavano su queste tematiche dal 2015, abbiano ripreso una riflessione sull’agenda europea su immigrazione e asilo. Ma, dall’altra, siamo di fronte a un evidente passo indietro con questa proposta che dovrà poi essere valutata dal parlamento di Strasburgo, anche se non c’è un vento politico che faccia sperare in una revisione migliorativa. Ammesso che si riesca a votarla prima delle elezioni del 2024. Vedo un passo indietro sulla costruzione della solidarietà europea Poi sui problemi fondamentali non si sono date le risposte».
Quali sono i problemi?
L’accoglienza. In termini di richiesta e concessione dell’asilo la responsabilità è di tutti i Paesi membri, mentre quelli del gruppo di Visegrad selezionano i richiedenti. Ci sono poi Paesi che portano un peso maggiore rispetto agli altri. Certamente non l’Italia, visto che siamo al 14° posto. Nonostante il milione e duecentomila persone passate da qui, il nostro Paese fino ad oggi non è stato un centro di accoglienza ma un luogo di transito per il 90%. Semmai Roma ha una grossa responsabilità nella valutazione del diritto di asilo, perché sul tema della gestione siamo al punto di partenza e le procedure restano vergognose. Non c’è nulla di nuovo sui salvataggi in mare e non sfugge che, dopo aver gridato contro Londra per l’invio in Ruanda di rifugiati e richiedenti, di fatto l’Ue proponga la stessa cosa, rimandare indietro con procedure accelerate in Paesi terzi presunti sicuri come Nigeria, Costa d’Avorio e Tunisia le persone sbarcate senza dare loro una vera tutela. Oppure rimandarle nel Paese dove le persone sono transitate o si sono fermate almeno un anno. Questo è poco rassicurante.
Ma nell’Europa dei muri e dove soffia il vento sovranista era possibile aspettarsi un accordo diverso?
Manca ancora una agenda migratoria comune e c’è purtroppo una visione ideologica che si diffonde nel contesto europeo, una cultura che mette in discussione le radici europee in materia di asilo, diritto presente in modo fondamentale in tutte le costituzioni degli stati membri. Le prossime elezioni del 2024 non fanno sperare in un miglioramento.
Con gli Ucraini l’Ue è stata capace di una risposta solidale e di accoglienza straordinaria. Ma con gli altri?
Se si sono accolte due milioni e 400 mila persone ucraine nella Ue dando a tutti protezione sociale, significa che Bruxelles
in pochi mesi ha saputo dare un grosso segnale di responsabilità e solidarietà. Non si capisce perché, invece, davanti alle proposte di redistribuzione degli altri profughi – 30 mila– ci sia una distinzione tra richiedenti asilo provenienti da paesi per noi importanti e quelli provenienti da paesi che non sono in questo alveo di sicurezza, affari ed economia.
In Tunisia la premier Meloni e la presidente della commissione Ue stanno effettuando una missione perché Tunisi riprenda i subsahariani sbarcati in Italia e limiti le partenze. Cosa dovrebbero fare Roma e Bruxelles?
C’è un problema politico ed economico di stabilità. II legame tra Tunisia, Ue e Italia dovrebbe favorire lo sviluppo del Paese attraverso canali regolari di ingresso nella Ue. Sul tema fondamentale del lavoro migrante non abbiamo, però, sentito riflessioni e proposte, solo la preoccupazione di bloccare le partenze delle persone o di rimandarle indietro.
All’Italia non serve una nuova legge sull’immigrazione?
Penso sia chiara a tutti la necessitò del cambiamento della legge Bossi Fini dopo oltre 20 anni. Stiamo generando ogni anno dai 300 ai 500 mila irregolari, segno che i decreti flussi non funzionano. Serve una revisione nella direzione dell’incontro tra domanda e offerta rendendo protagoniste le parti sociali e lavorative e che, però, veda le istituzioni capaci di gestire
Allude alla sanatoria 2020?
Esattamente. Abbiamo visto che la parte istituzionale non è stata in grado di gestirla, tanto che a tre anni solo la metà delle persone sono state esaminate.
Altra questione italiana è la riforma della cittadinanza..
Sono cresciute le seconde e le terze generazioni. Un milione di persone sono nate e hanno studiato in Italia. Abbiamo il dovere di renderle cittadini se vogliamo un paese più equo e coeso. La legge è stata frenata due volte, ma è un aspetto importante. Come lo è il riconoscimento dei titoli perché molti passano dall’Italia con una professione per la quale si sono preparati nel paese di origine. Infine bisogna velocizzare i ricongiungimenti famigliari perché siamo il paese europeo dove si impiega più tempo, dai sei agli otto anni Viene elogiata l’esperienza dei corridoi umanitari delle chiese italiane con i governi nazionali. E l’Ue?
Dovrebbero venire istituzionalizzati a livello europeo. Servono ai vulnerabili che non possono mettersi in cammino per entrare legalmente e chiedere asilo. È fondamentale avere canali regolari per motivi lavorativi come la conversione in permessi di soggiorno. Il decreto Cutro va in direzione opposta perché ha bloccato la conversione dei permessi di protezione sociale in permessi di lavoro.
Nel messaggio per la prossima giornata dei migranti, il Papa ha ricordato che un diritto fondamentale è la libertà di scegliere
se restare o partire. Come realizzarla?
Il progetto della Cei Liberi di partire, liberi di restare” varato nel 2017 ha dimostrato che con 30 milioni si possono far transitare con sicurezza minori non accompagnati, studenti, lavoratori e famiglie in diversi contesti. E ha fatto si anche che nascessero centinaia di progetti per valorizzare le persone dando loro l’opportunità di restare dove vivono. Come dice Benedetto XVI nella Caritas in veritate non sono i macro progetti, ma i micro progetti ad accompagnare le persone. Credo che sia fondamentale rafforzare il progetto europeo sull’Africa valorizzando la grande rete della cooperazione allo sviluppo che per i cattolici italiani è rappresentata dalla Focsiv.