Le indagini mostrano la reale natura dei reperti trovati nella cittadina toscana lo scorso autunno. Un patrimonio di bronzi, monete, putti che segna il definitivo passaggio dalla civiltà etrusca a quella romana
Archeologia non è solo la sorpresa della scoperta, ma anche lo studio in biblioteca e le analisi in laboratorio. I primi risultati di questa seconda fase del lavoro sui materiali portati alla luce nello scavo del Bagno Grande a San Casciano Terme nell’autunno dello scorso anno sono stati presentati in un convegno che si è svolto a Siena presso l’Università per Stranieri, i cui lavori sono stati aperti da Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura.
L’incontro è stato l’occasione di misurarsi sul significato del ritrovamento per la comunità scientifica. Il primo dato emerso è la conferma dell’importanza di uno scavo stratigrafico ben fatto. In questo caso gli archeologi, coordinati da Emanuele Mariotti (Comune di San Casciano) e Jacopo Tabolli (Università per Stranieri di Siena) con l’apporto di Ada Salvi (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Siena, Grosseto e Arezzo), sono riusciti a recuperare le diverse tessere di un mosaico complesso: dalle strutture dell’area sacra nelle sue diverse fasi alla statuaria in bronzo offerta alle divinità venerate, ai rami di piante e ai frutti pure ritualmente affidati alle acque.
L’attenzione mediatica — alla notizia della scoperta — si era concentrata sulle statue in bronzo portate alla luce arrivando a paragonarle ai Bronzi di Riace. Un confronto da non proporre (o riproporre) dato che, in questo caso, ci si muove nell’ambito di un artigianato artistico di qualità e non dei grandi maestri della bronzistica antica.
Più chiaro ora — grazie allo studio seppure preliminare di Massimiliano Papini — è l’inquadramento cronologico delle opere rinvenute che sembrano coprire un arco di tempo che dal II secolo a.C. arriva ai primi decenni dell’età imperiale, agli anni di governo dell’imperatore Tiberio. Nei due secoli, quindi, che videro la piena romanizzazione dell’Etruria, che aveva perduto la sua indipendenza politica già nei primi decenni del III secolo a.C.
Tra le statue rinvenute si possono segnalare, in particolare, una devota vestita con chitone e mantello; un’altra figura femminile caratterizzata da una breve iscrizione etrusca; un Apollo raffigurato in una posa dinamica nel gesto di tirare l’arco per lanciare una freccia realizzato forse intorno al 100 a.C.; una figura maschile dal corpo malformato volutamente, dato che la testa risulta invece particolarmente curata, a segnalare il problema fisico per il quale si chiedeva la guarigione, o si ringraziava per essa; due teste maschili, di cui una con una notevole forza espressiva.
Tra le offerte votive vanno segnalati otto neonati raffigurati avvolti in fasce sempre in bronzo, mentre in genere erano un tipo di offerta realizzata in terracotta, e due rare raffigurazioni di alcuni organi interni del corpo umano.
Interesse suscitano le iscrizioni etrusche e latine che avevano attirato da subito l’attenzione: quelle etrusche — analizzate da Adriano Maggiani — sono cinque: una di una sola parola, le altre su più righe. Nella sua valutazione vanno dal II secolo a.C. sino al primo venticinquennio del secolo successivo. Ben tre rinviano a personaggi provenienti daPerugia e, in una, è ricordata l’importante famiglia dei Velimna. Quelle latine rinvenute nel 2022 — studiate da Gian Luca Gregori — sono quattro e assicurano una continuità nel culto segnalando le divinità di Fons e Fortuna Primigenia. Ad esse — in età imperiale più avanzata — se ne aggiunsero altre.
Un’attenzione particolare meritano le monete rinvenute in un numero considerevole: 2511 nella campagna di scavo del 2021 e 2700 circa in quella del 2022. La maggioranza sono in bronzo, ma alcuni pezzi sono in argento e due in oro. La particolarità — segnalata dal numismatico Giacomo Pardini — è che risultano in gran parte esemplari che sembrano non avere circolato prima di essere offerti nella vasca. Le monete, qui come riscontrato anche altrove, affiancano e poi sostituiscono gli altri donativi in bronzo.
Interessanti sono le offerte in legno — illustrate da Mauro Paolo Buonincontri — che suggeriscono la pratica di gettare rami di alberi presenti nell’area, come, ad esempio, le querce, nell’acqua. Non mancano nemmeno pigne del pino domestico. In conclusione si può osservare che lo scavo ha restituito un’area di culto legata alle acque, a cui venivano attribuite virtù salutari, frequentata con fiducia e speranza da uomini e da donne di diversi starti sociali sia in età etrusca che romana a segnalare una continuità che s’interromperà soltanto nel V secolo d.C.