Se è vero che il patteggiamento di per sé non è un’ammissione di colpa, di certo non è nemmeno la strategia difensiva che ci si sarebbe attesi. Non da un governatore arrestato per corruzione che, dopo aver resistito alle dimissioni per due mesi, si era ripresentato ai giornalisti citando senza alcun imbarazzo Enzo Tortora: “Dove eravamo rimasti?”. Dai domiciliati, con un consiglio regionale paralizzato, Toti ha provato a definire l’inchiesta genovese come un’invasione della magistratura nel campo della politica, tesi supportata a reti unificate dai media di centrodestra, dalle reti Mediaset e da più di un componente del governo. Ne citiamo due su tutti. Il ministro della Difesa Guido Crosetto: “In questa vicenda c’è scarso interesse di ricerca della verità. Con la logica usata per Toti, a cui non viene contestato alcun vantaggio personale e privato, possono arrestare la quasi totalità dei sindaci, dei presidenti di Regione, dei dirigenti pubblici. Suppongo anche la maggior parte dei magistrati”. Il Guardasigilli Carlo Nordio, dopo la conferma delle misure cautelari: “Ho letto l’ordinanza del Riesame e non ci ho capito niente”.
L’escalation comunicativa e mediatica, tuttavia, non si è mai davvero tradotta in un contropiede giudiziario. Agli alleati, sempre più nervosi, Toti aveva assicurato che avrebbe chiarito tutto presentandosi davanti ai pm. Ma quell’iniziativa gli si è ritorta contro. Tralasciando l’imbarazzante leak di una memoria difensiva che il suo entourage ha passato ad alcune emittenti locali ad audizione ancora in corso, l’interrogatorio si è trasformato in un boomerang. Per il tribunale del Riesame in quel verbale Toti ammette molti dei fatti contestati. E quando le domande entrano nel merito di alcuni incontri con il presunto corruttore, l’imprenditore-finanziatore Aldo Spinelli, la memoria del governatore si offusca. Ad aggravare il quadro si sono aggiunti poi decine di testimoni, sentiti dai pm Luca Monteverde e Federico Manotti.
Così, su questo piano inclinato si è arrivati allo scacco finale: prima la seconda misura cautelare – legata al filone per la presunta corruzione e finanziamento illecito del gruppo Esselunga – poi il giudizio immediato, una mossa che ha consentito ai pm la fissazione di un processo lampo, senza udienza preliminare. Arrivati a questo punto, è stata calata la carta dei patteggiamenti: quello dell’ex presidente dell’Autorità Portuale Paolo Emilio Signorini, ha messo in difficoltà l’indagato Spinelli; e un patteggiamento di Spinelli (proposto ma non ancora accettato), avrebbe definitivamente compromesso la posizione di Toti.
Ieri, in un comunicato stampa acrobatico, Toti ha provato a dare un’interpretazione vittoriosa dell’intesa: “Provo amarezza per non vedere riconosciute fino in fondo le ragioni della nostra innocenza e sollievo di vederne riconoscere una buona parte”. Ma il silenzio degli alleati dice più di molte parole. C’è chi non ha gradito la photo-opportunity dietro a Marco Bucci, candidato del centrodestra in Liguria, due giorni prima del colpo di teatro del patteggiamento. Nell’aria rimane sospesa una sensazione generale da grande bluff, in cui va iscritto il libro-memoir Confesso: ho governato, titolo evocativo nientemeno che del poeta Pablo Neruda, vittima della repressione cilena di Pinochet. Il memoir era dato in uscita il primo giorno del processo. Ora che il processo non si terrà, chissà se avremmo mai occasione di leggere il libro.