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Donald Trump ha trasformato la crisi iraniana in uno show personale. Mentre i suoi ministri parlavano di un intervento “chirurgico” limitato agli impianti nucleari, lui lanciava un nuovo slogan: MIGA, Make Iran Great Again, evocando senza mezzi termini un cambio di regime. Una trovata che mostra ancora una volta come Trump usi la politica estera per la sua immagine, ignorando le conseguenze.
Dopo i fallimenti in Ucraina, a Gaza e nei negozi con Teheran, il presidente cerca ora una vittoria facile, cavalcando l’offensiva israeliana contro l’Iran. Ma non c’è nulla di semplice in un attacco che potrebbe incendiare il Medio Oriente. Trump decide da solo, scavalca il Congresso, smentisce i suoi ministri e comunica tutto via social, come se la guerra fosse un reality.
Dietro lo stile teatrale, però, si nasconde una logica pericolosa. Trump parla di pace, ma bombarda. Promette di fermare le guerre inutili, ma rischia di aprirne una senza fine. La sua idea di “regime change” dall’alto è già fallita altrove: Iraq, Libia, Afghanistan. Gli iraniani, per quanto ostili al regime, non vogliono essere liberati dai missili americani.
Anche sul piano globale, lo scenario è più complesso. Iran e Russia sono alleati contro un mondo aperto, basato su libertà, cooperazione e commercio. L’attacco all’Ucraina nel 2022 e quello a Israele da parte di Hamas nel 2023 sono parte della stessa sfida. Ma Trump sembra ignorarlo, rilanciando solo la forza, senza una visione.
L’Europa è ai margini, la Nato ridotta a un teatrino. L’unico vero progetto è aumentare le spese militari. Intanto intellettuali iraniani e israeliani lanciano un appello: “Non siamo i nostri regimi”. Chiedono di non confondere governi e popoli. Ricordano che la democrazia non nasce con le bombe, ma con processi interni, lenti e faticosi.
Trump promette una pace veloce, ma costruisce una guerra permanente. Il suo “America First” non è pacifismo, è potere imperiale. Usa la forza per difendere il benessere americano, non la democrazia. Così lascia mano libera ai più forti – a Netanyahu, a Putin – e condanna i più deboli all’instabilità.
Dietro la retorica anti-establishment, Trump governa da solo. E mette il mondo in pericolo, nel nome di una pace che non arriva mai.