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Il vertice NATO dell’Aia, nato per mostrare la forza dell’Alleanza, ha invece rivelato tutta la sua fragilità. Non per colpa dell’Europa, ma per la solita variabile impazzita: Donald Trump. Mentre Francia e Germania provavano a rilanciare una strategia comune, impegnandosi a investire di più nella difesa, il presidente americano ha rimesso in discussione il principio stesso su cui si fonda la NATO: l’articolo 5, quello che garantisce il mutuo soccorso in caso di attacco.
«Dipende da come lo si interpreta», ha detto Trump, lasciando intendere che se la Russia colpisse un Paese europeo, l’aiuto americano non sarebbe garantito. Un messaggio pericoloso, fatto passare con la solita arroganza da palco elettorale.
Non si è fermato qui. Ha attaccato pubblicamente la Spagna per non voler aumentare la spesa militare, ha svergognato l’intera alleanza pubblicando un messaggio privato del segretario NATO Rutte, trasformato in uno spot autocelebrativo: “L’Europa pagherà ALLA GRANDE”. Non era un commento diplomatico. Era una dimostrazione di forza in stile reality.
Eppure la cosa più grave è che non si tratta solo di difesa. La vera questione è politica. Trump si muove in modo imprevedibile anche sul fronte mediorientale: prima autorizza un raid congiunto contro l’Iran, poi ordina a Israele di fermarsi via social. Il risultato? Quattro morti a Beersheva, difese israeliane bucate, un cessate il fuoco fragile e nessuna certezza per il futuro. La sua è una leadership impulsiva, contraddittoria, guidata più dall’istinto che da una strategia.
Romano Prodi ha colto il punto con lucidità: stiamo entrando in un mondo in cui la forza decide tutto e il diritto viene messo da parte. Se Putin ha mani libere in Ucraina, se Trump fa e disfa in Medio Oriente, il rischio è un nuovo ordine mondiale dominato dagli autoritarismi. Stabile, forse. Ma ingiusto. E pericoloso.
In tutto questo l’Europa sembra ancora smarrita. Divisa, frammentata, incapace di esprimere una linea chiara su difesa, energia, immigrazione, politica industriale, rapporti internazionali. I governi parlano ognuno per sé, i grandi partiti europei tacciono o rincorrono le agende altrui.
La verità è che l’Europa non può più permettersi di essere spettatrice. Serve un salto di qualità. Non solo un aumento delle spese militari, ma un vero progetto di unità politica, strategica, economica. Non un coordinamento tra capitali nazionali, ma un’unica voce, capace di farsi ascoltare e rispettare. Non un’Europa che si limita a reagire, ma che decide e costruisce.
Non si tratta di essere antiamericani. Si tratta di non essere più dipendenti da un alleato che usa la nostra sicurezza come leva di pressione. Trump non è il problema in sé. È il sintomo. Il campanello d’allarme che ci dice quanto l’Europa sia vulnerabile quando manca di volontà comune e di visione.