
Piancastagnaio, produzione e territorio: un ruolo che si ridefinisce
29 Dicembre 2025
La religione come arma geopolitica: il cattolicesimo americano tra Impero e profezia
30 Dicembre 2025Il 2025 conferma che l’ordine internazionale sta attraversando una fase di disarticolazione profonda. Non si tratta solo di una somma di crisi regionali, ma di un mutamento strutturale in cui diplomazia, economia, sicurezza e cultura politica smettono di convergere in un quadro condiviso. Le grandi potenze agiscono in modo sempre più disallineato, mentre gli strumenti costruiti nel secondo dopoguerra mostrano limiti evidenti nel governare conflitti, transizioni e nuove forme di competizione.
In Medio Oriente, gli accordi di normalizzazione tra Israele e alcuni Paesi arabi hanno rappresentato un passaggio rilevante sul piano diplomatico e simbolico, ma poggiano su basi fragili. La scelta di aggirare la questione palestinese ha prodotto un equilibrio fondato più sulla convergenza tra élite che su un consenso reale delle società coinvolte. Questo ha reso la normalizzazione vulnerabile agli shock politici e militari, mostrando come la stabilità non possa essere costruita separando sicurezza, riconoscimento e giustizia. In assenza di un processo politico inclusivo, gli accordi rischiano di restare strumenti tattici più che fondamenta di un nuovo ordine regionale.
Sul piano globale, la competizione tra Stati Uniti e Cina rappresenta il principale fattore di ridefinizione degli equilibri internazionali. Pechino persegue una strategia di lungo periodo che combina potenza economica, controllo tecnologico e pressione militare, con l’obiettivo di ridisegnare i rapporti di forza, a partire dall’Asia orientale. La questione di Taiwan resta il punto più sensibile di questo confronto: un possibile detonatore capace di produrre effetti sistemici, economici e geopolitici. Di fronte a questa traiettoria, le democrazie occidentali oscillano tra deterrenza, contenimento e cooperazione selettiva, senza riuscire a elaborare una visione realmente condivisa.
Anche l’economia globale riflette questa frammentazione. Le politiche commerciali e fiscali statunitensi, insieme al ricorso crescente a strumenti protezionistici, stanno producendo tensioni che vanno oltre la normale ciclicità. Il ruolo del dollaro come pilastro del sistema finanziario internazionale non è in crisi immediata, ma mostra segnali di logoramento: aumentano le strategie di diversificazione monetaria e si rafforzano circuiti alternativi agli scambi tradizionali. Se queste tendenze dovessero consolidarsi, il risultato sarebbe un ordine economico più frammentato, meno prevedibile e più esposto a shock politici.
In Europa, il cambiamento assume una forma particolarmente evidente nel riposizionamento della Germania. Dopo decenni in cui crescita, integrazione europea e protezione americana hanno costituito un orizzonte stabile, Berlino è costretta a confrontarsi con un contesto radicalmente mutato. La fine delle certezze energetiche, le nuove esigenze di difesa e la competizione industriale globale impongono una revisione profonda del modello tedesco. Il legame transatlantico resta centrale, ma non più sufficiente: all’Unione europea viene chiesto un salto di maturità politica che incontra resistenze interne e divisioni strategiche.
A questo quadro già complesso si aggiunge una dimensione spesso sottovalutata: il peso culturale e religioso nelle dinamiche internazionali. Il cattolicesimo statunitense, attraversato da forti polarizzazioni ideologiche, esercita un’influenza che va oltre i confini nazionali. Il nuovo pontificato si trova così a dover dialogare con una realtà ecclesiale segnata da tensioni politiche profonde, capaci di incidere sugli equilibri diplomatici e sul ruolo globale della Chiesa. La religione, lungi dall’essere un residuo del passato, torna a funzionare come fattore identitario e geopolitico.
Nel loro insieme, questi processi delineano un mondo privo di un centro riconosciuto, in cui le vecchie architetture non reggono più e le nuove faticano a prendere forma. Accordi parziali, rivalità strategiche, transizioni economiche e conflitti simbolici convivono senza una cornice condivisa. Il rischio non è soltanto l’instabilità, ma la sua normalizzazione: un sistema internazionale che vive in equilibrio precario, adattandosi alla crisi invece di superarla. Comprendere questa trasformazione è oggi indispensabile per orientarsi in una fase storica in cui il disordine non appare più un’eccezione, ma una condizione strutturale del nostro tempo.





