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Antonella Mollica
Sarà la Corte costituzionale a decidere sul conflitto tra la Procura di Firenze e l’ex premier Matteo Renzi. La Consulta ha dichiarato ammissibile la questione sollevata nove mesi fa dal Senato contro i magistrati sul conflitto tra poteri dello Stato. I giudici dovranno adesso chiarire se i pm che indagano sulla Fondazione Open abbiano violato i diritti di parlamentare di Renzi, allegando agli atti dell’inchiesta mail e chat senza aver chiesto l’autorizzazione preventiva di Palazzo Madama. Alla notizia tanto attesa Renzi esulta: «Un altro passo verso la verità — scrive nella sua Enews — Nel 2023 arriverà il giudizio di merito sul tema della violazione dell’articolo 68 della Costituzione ma intanto il nostro ricorso è ammissibile».
Questa mattina è in calendario al tribunale di Firenze l’udienza preliminare del processo Open che vede Renzi imputato per finanziamento illecito ai partiti. Il leader di Italia viva aveva già chiesto di essere interrogato dal gip Sara Farini e questa mattina non mancherà all’appuntamento. Poi i suoi avvocati, Federico Bagattini e Lorenzo Pellegrini, come avevano già annunciato, chiederanno lo stop del procedimento in attesa della pronuncia definitiva della Corte Costituzionale che deve ancora fissare la data della seduta.
Renzi è accusato di essere il direttore di fatto della Fondazione Open, la cassaforte che ha finanziato l’ascesa di Renzi da sindaco a premier, attraverso eventi come la Leopolda. Con lui sono imputate altre dieci persone, tra cui l’ex presidente di Open, Alberto Bianchi e i componenti del cda, Maria Elena Boschi, Luca Lotti e Marco Carrai. Secondo le accuse sui conti di Open, nata nel 2012 e chiusa nel 2018, sarebbero transitati 3,5 milioni di euro di fondi in violazione delle norme sul finanziamento ai partiti, dal momento che Open avrebbe agito come articolazione di partito o meglio della corrente renziana del Pd. Agli atti dell’indagine ci sono migliaia di documenti, tra cui anche i messaggi whatsapp rinvenuti nei telefoni sequestrati ad altre persone ma non a Renzi che ovviamente in quanto parlamentare non è mai stato destinatario di decreti di perquisizione. In particolare c’è uno scambio con l’imprenditore Vincenzo Manes nel giugno 2018 in cui si parla del volo privato Roma-Washington da 135 mila euro pagato con i soldi di Open. Gli inquirenti fiorentini hanno fatto riferimento a diverse sentenze della Cassazione che affermano che i messaggi whatsapp non rientrano nel concetto di corrispondenza.
Lo scorso ottobre Renzi aveva scritto all’allora presidente del Senato Elisabetta Casellati, chiedendo la tutela delle prerogative costituzionali che riteneva violate dagli inquirenti. Due settimane prima i pm toscani avevano chiesto il processo per Open e nello stesso giorno Renzi aveva presentato una denuncia contro i pm fiorentini alla Procura di Genova accusandoli di avere effettuato sequestri della sua corrispondenza e di documenti bancari senza autorizzazione del Senato. La Procura di Genova aveva però chiesto — e ottenuto dal gip — l’archiviazione delle accuse. I pm genovesi avevano spiegato che Renzi non è mai stato perquisito e che i sequestri erano stati eseguiti nei confronti di soggetti non legati da rapporti di parentela con Renzi ma sottoposti direttamente a indagine come l’amico Carrai o nei confronti finanziatori di Open come Manes. Renzi aveva gridato allo scandalo. L’ultima parola spetta ora alla Consulta.
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