Meloni scommette sul fallimento di Macron e sull’intesa con Le Pen per incidere sui dossier europei e colpire Salvini
di Tommaso Ciriaco (Roma) e Anais Ginori (Parigi)
Il coordinamento nero è partito, benedetto dall’applauso dei post franchisti di Vox. Dove porterà, sarà chiaro dopo il 10 giugno. Ma il piano di Giorgia Meloni è sostanzialmente questo: sommare i voti dei Conservatori e quelli dell’ultradestra di Marine Le Pen per incidere sui singoli dossier che passeranno dal Parlamento europeo. Una sorta di minoranza di blocco da 135 eurodeputati. Non solo. L’altro obiettivo è condividere con l’ultradestra il profilo dei commissari espressi dai Paesi a guida conservatrice (quattro su ventisette) con l’ambizione di spostare la linea della Commissione su alcuni temi condivisi: ostilità al Green Deal, battaglia contro i diritti civili, immigrazione. Non è invece per nulla detto che nasca un gruppo unitario o che la francese entri in Ecr nel corso della legislatura. Gli italiani non vorrebbero, la figlia di Jean-Marie ci pensa. Certo è che il piano della fondatrice di Fratelli d’Italia è comunque azzardato. E politicamente rischioso. Può finire nuovamente isolata, esclusa dalla cabina di regia che guiderà l’Unione nei prossimi cinque anni. Di fatto, irrilevante.
Nulla a Madrid è lasciato al caso. Nel suo discorso, Meloni evita critiche aspre all’arcinemico di Le Pen, Emmanuel Macron. Vuole dribblare incidenti diplomatici. Allo stesso modo, non parla mai di Ucraina: i cari amici di Vox non tifano per Kiev. Semmai, la premier calca la mano sul lavoro della Commissione: è una critica implicita a Ursula von der Leyen, il segnale di una sfiducia nel suo bis, un’apertura a Le Pen. Che è altrettanto attenta a non esagerare, per continuare il percorso di “normalizzazione” in vista della corsa alle Presidenziali nel 2027: dopo aver preso le distanze dall’Afd, adesso pronuncia parole non troppo radicali e non esagera neanche contro l’Eliseo. È la prova che le due delegazioni hanno concordato i discorsi, per evitare reciproci imbarazzi. «È il frutto del dialogo», rileva Antonio Giordano, segretario di Ecr.
Ma quello di Meloni è comunque un azzardo. Una scommessa al buio in cui l’istinto pesa più del calcolo, la pancia più della testa. Trattare con Le Pen cancella in un colpo solo diciotto mesi di politica, equilibrismi e sorrisi diplomatici concessi a malincuore a Macron. Un’inversione di rotta che si fonda sulla speranza che il voto del 9 giugno renda la destra indispensabile e spinga l’architrave della “maggioranza Ursula” — composta da liberali e popolari— a bussare alla porta di Ecr. Il problema — l’azzardo, appunto — è che per ora nessun sondaggio conferma questo schema. E anzi, i socialisti sono determinanti in ogni scenario.
L’ultima rilevazione pubblicata sul sito di Politico lo scorso 15 maggio attribuisce infatti al Ppe 174 seggi e al Pse 144. Ai Liberali di Macron andrebbero 85 scranni, confermandoli terza forza. I Conservatori si fermerebbero un millimetro indietro, a 84. Più staccati gli estremisti di Id — il gruppo di Le Pen, Salvini e dell’Afd tedesca — con 70 seggi. Popolari, socialisti e liberali sarebbe dunque autosufficienti, ma proverebbe ad allargarsi: a sinistra, con i 40 eurodeputati verdi; oppure a destra, con i pochi euro-atlantisti di Ecr.
Di certo, nessuna Commissione tratterà con la galassia che sta a destra dei Conservatori. E allora, perché Meloni radicalizza comunque dal palco di Vox la sua campagna, al fianco di Le Pen e mettendo la faccia sul “no” all’ipotesi di intesa con il Pse? In parte, perché nelle scorse settimane ha subito un veto analogo dai socialisti e prova a compensarlo. In parte, perché scommette sul fallimento di Macron e immagina che il collasso elettorale del Presidente francese rimescoli gli equilibri a Bruxelles. Ma sta proprio in questo ragionamento l’azzardo: lo dicono i sondaggi, lo dice l’intesa tra Macron, Scholz e il polacco Tusk da cui partirà ogni possibile accordo per la Commissione. La radicalizzazione di Meloni allontana Roma da questa cabina di regia, rendendo l’italiana meno spendibile agli occhi delle Cancellerie che contano.
Ciononostante, Meloni si sbilancia. E lo fa anche spinta da una necessità di politica interna: colpire Salvini. Il dialogo con Le Pen chiude infatti l’incidente di qualche mese fa, quando la francese contestò la premier inseguita dagli applausi leghisti: stavolta è il segretario del Carroccio a non essere neanche invitato. Ed è Meloni — che si è anche resa conto dell’errore di aver aperto le porte di Ecr a Zemmour, che rischia di non superare lo sbarramento — a trattare direttamente con quella che in teoria sarebbe la sua principale alleata. Salvini se ne accorge e prova a incunearsi: «Marine è saggia — sostiene — ora tutti i partiti di centrodestra dicano no alle sinistre e a Macron ». La reazione di Forza Italia è gelida: «Marine è ostile all’Europa, come potremmo governare insieme?».