Impossibile seppellire fuori le 200 vittime: la decisione del direttore per evitare che i cadaveri in putrefazione potessero provocare epidemie
DEIR EL BALAH — Nell’inferno di Gaza c’è un luogo che si sta trasformando ogni giorno di più nella dannazione di vivi e di morti. È l’ospedale al-Shifa, nel quartiere Rimal, a Nord di Gaza City. Quello che un tempo era il nosocomio più grande e moderno della Striscia si sta trasformando in un cimitero. Stretto com’è nell’assedio totale imposto dall’esercito israeliano — convinto che nei sotterranei si nasconde un comando di Hamas (ipotesi negata dai medici) — non riesce più nemmeno a seppellire i suoi morti, come ha confermato il suo direttore Mohamed Abu Salmiya. Nonostante all’interno ci siano 650 malati, 1500 rifugiati (compresi numerosi bambini), e 500 medici con le loro famiglie, i militari fuori continuano a sparare su tutto ciò che si muove. E non hanno concesso nemmeno il permesso di portar fuori i corpi dei defunti affinché venissero sepolti. Il responsabile è dunque stato costretto a prendere l’atroce decisione di seppellire 200 persone in una fossa comune scavata all’interno dei 5 ettari su cui si estende la struttura. Un’operazione devastante, che ha visto impegnate cento persone che per portare a termine l’ingrato compito hanno impiegato sei ore. Fra i corpi ormai in decomposizione sepolti, quelli di sette neonati prematuri spirati nelle loro incubatrici un tempo alimentate con pannelli solari ormai messi fuori uso dai bombardamenti. E 29 pazienti della terapia intensiva, per i quali non c’è stato più niente da fare dopo che le macchine della rianimazione cui erano attaccati si sono spente perché è finita la riserva di carburante che le alimentava, e manco a dirlo, non è stato dato il permesso di far entrare le scorte.
«Non abbiamo potuto fare altrimenti», ha detto il direttore allaBbc .
Ma ormai il fetore dei troppi cadaveri accumulati nell’obitorio coi frigoriferi spenti si era fatto insopportabile: e c’era il rischio che la putrefazione propagasse malattie infettive in quel luogo disperato dove scarseggia anche l’acqua. Un orrore senza fine, una catastrofe come tutti continuano a ripetere qui: cui ahimè si aggiunge anche altro. È stato finora impossibile rimuovere i cadaveri di coloro che sono morti fuori dalla struttura: uccisi dagli scontri o dai bombardamenti o perché semplicemente non hanno fatto in tempo a ricevere cure mediche. Visto che fra i corpi ci sono quelli di diversi feriti trascinatisi fin là ma poi abbandonati asé stessi, perché — lo ha raccontato Mohammed Obeid, uno dei chirurghi di Msf — «gli israeliani hanno sparato sulle ambulanze quando abbiamo cercato di farle uscire per portare aiuto a quei poveretti». Quei corpi hanno attirato decine di cani randagi che, affamati, proprio di quei miseri resti hanno fatto il loro pasto. Attratte dalla puzza di morte, le bestie cui invece nessuno spara, sono entrate anche nell’ospedale, mettendo a rischio la salute di tutti. In quel Nord di Gaza che anche l’Unicef ha definito “cimitero di bambini” perché il 40% delle vittime sono minori, persino seppellire i morti è diventata un’impresa. Le 4 ore di cessate il fuoco per evacuare non bastano certo a seppellire i cadaveri dei propri cari. E di casa in casa, sempre più spesso si ricorre a uno sventurato sistema: si scavano tombe nei cortili. Dove mancano anche quelli, si sradicano pavimenti di sottoscala e cantine o degli appartamenti pur di dare sepoltura ai propri cari (e difendersi da eventuali malattie).
La situazione estrema in cui si trova l’al-Shifa presto potrebbe replicarsi anche in altri ospedali. Anchel’al-Quds gestito dalla Mezzaluna rossa è nel mirino dei militari, che hanno già sparato su un convoglio di feriti in entrata e all’interno di un reparto di terapia intensiva uccidendo una persona e ferendone altre 28. Si è dunque tentato un accordo con loro, affinché venissero evacuati i malati più gravi verso l’ospedale al-Amal di Khan Yunis, a Sud: ma leambulanze sono state fermate, perquisite, e rispedite indietro, affermando che combattimenti erano in corso. Che poi non è che all’al-Amal le cose vadano così meglio: anche quel nosocomio è senza elettricità. E per i 25 pazienti in terapia intensiva ormai è solo questione di ore.
(testo raccolto da Anna Lombardi)