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C’è una convergenza profonda e non scontata tra l’articolo pubblicato oggi su La Stampa da Chiara Saraceno e l’esperienza raccontata nel mio editoriale: due prospettive diverse — una giuridico-politica, l’altra personale e civile — che giungono alla stessa conclusione. Serve una legge nazionale sul suicidio medicalmente assistito che non sia espressione di ideologie o paure, ma che riconosca il diritto alla dignità, alla libertà e alla consapevolezza, anche nel momento più difficile.
Chiara Saraceno ricostruisce con lucidità i passaggi giuridici fondamentali: due sentenze della Corte costituzionale hanno già definito in modo chiaro le condizioni entro cui è legittimo il suicidio assistito. La mancanza di una legge nazionale ha prodotto un vuoto normativo che alcune regioni, come la Toscana, hanno cercato di colmare. Ma il governo ha impugnato quella legge, nonostante essa rispetti pienamente i criteri indicati dalla Corte.
Nel mio editoriale ho voluto raccontare la scelta di Daniele Pieroni, primo in Toscana ad aver ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito. La sua è stata una decisione sofferta ma lucida, maturata dopo un lungo percorso umano e medico. Daniele era un uomo spirituale, un poeta, un intellettuale. Aveva provato le cure palliative, ma non ne aveva tratto beneficio. Non ha scelto la morte: ha scelto di non soffrire più, con rispetto di sé e degli altri.
Credo — e lo rivendico come credente — che la fede non ci chieda di difendere la vita a ogni costo, ma di custodirne la dignità fino alla fine. Scrivevo: “Davanti al dolore estremo, l’unico atteggiamento davvero umano — e cristiano — è l’ascolto. Possiamo non condividere, ma non possiamo più ignorare.”
Ecco il punto di contatto con il ragionamento di Saraceno: le cure palliative e la sedazione non bastano sempre, né sono sempre accettabili per chi vive una sofferenza radicale. Offrirle è doveroso. Imporle, invece, può diventare una forma di abbandono. Come pure è inaccettabile delegare la decisione finale a comitati etici che si sostituiscano alla volontà espressa, libera e consapevole del malato. Saraceno è netta: serve una valutazione concreta, caso per caso, affidata a équipe multidisciplinari che accompagnino la persona, non che giudichino al suo posto.
Per questo oggi, più che mai, è necessario che lo Stato faccia il proprio dovere. Non basta più rimandare. Serve una legge nazionale chiara, sobria, giusta. Una legge che non obblighi, ma che dia possibilità. Che non rimuova la sofferenza, ma la guardi in faccia. Che non abbia paura della libertà.
Perché ogni persona, fino alla fine, ha diritto a essere ascoltata. E amata.