L’amico Mogol lo ha ripetuto più volte: «Lucio Battisti di destra, fascista? Non fatemi ridere». Eppure la leggenda metropolitana è tornata, periodicamente, a farsi viva.
C’era quella foto che lo ritraeva con il braccio teso: in realtà non stava facendo il saluto romano ma, sul palco, stava dando l’attacco ai violini per il suo I giardini di marzo. Persino la copertina de Il mio canto libero, con quelle braccia sollevate, fu interpretata come una selva di saluti fascisti per non dire del verso di una sua canzone, «planando sopra un bosco di braccia tese». Poi, salta fuori che in un covo delle Brigate rosse c’erano i suoi dischi.
Ma, allora, da che parte stava, ammesso che Lucio Battisti dovesse stare da qualche parte e non volesse invece coltivare, come ha fatto, fino alla morte, a soli 55 anni, un solitario distacco dal rumore di fondo della società dello spettacolo: come fece Guy Debord, come fece Jerome David Salinger.
UNA PROVA PROVATA
Eppure, oggi, al cantautore amato come pochi altri, forse come nessuno, chi volesse appiccicare una etichetta (ma chi potrebbe volerlo? Il suo è per sempre un canto libero, appunto) dovrebbe fare i conti con una “prova provata”. Spunta una lettera che Lucio Battisti, di suo pugno, scrisse il 25 febbraio 1992. La si trova in un libro freschissimo di stampa: Balla coi libri, (Iacobelli 2023, pp. 208, euro 18) nelle quali Marcello Baraghini, l’inventore dei mitici Millelire, il padre di Stampa Alternativa, si racconta a Daniela Piretti. Sono 50 anni di controcultura quelli di Baraghini: bambino, giovane, capellone, radicale, giornalista, politico, editore, libertario sempre.
In mezzo al libro, tra mille ricordi e mille battaglie, spunta Lucio Battisti. Che il ragazzo di Poggio Bustone, dove era nato il 5 marzo 1943, avesse professato una sola volta una chiara posizione politica, a favore dei radicali allora guidati da Marco Pannella, si sapeva. Ma Daniela Piretti, nelle lunghe conversazioni avute con Marcello Baraghini per la stesura di Balla coi libri, incappa nella lettera di Lucio Battisti, «su un foglio ingiallito la firma», capace di ridisegnarne in parte la figura. E lei stessa a stupirsi per questa dichiarazione di voto a favore proprio di Baraghini, che aveva accettato la proposta di essere nella “lista Pannella”, nei primi posti, a Roma, Bari e Milano (la cosa poi finì con una clamorosa rottura, ma questo poco importa).
Importa che la lettera di Battisti a Baraghini ci consegna un artista quasi barricadero, altro che reazionario, altro che fascista. E le sue parole, intrise di bellezza e lucidità, confermano semmai il suo essere fuori dal coro, per collocarsi però in una posizione sorprendente, alla luce di quel che si è raccontato (meglio, favoleggiato) per anni.
Qui non possono esserci dubbi. «Caro Marcello, hai chiesto di scriverti perché bisognerebbe votare per te e di manifestare pubblicamente tale motivazione», esordisce Battisti. «Presto fatto: votare per Marcello Baraghini non serve assolutamente a niente. Non serve a spostare una virgola negli sclerotici equilibri generali del sistema politico. Non serve ad avere la benché minima voce in capitolo nell’ammuffito dibattito interpartitico già preordinato. Non serve a far leva su nessun interesse lobbistico o mafioso. Non serve a far confluire consenso sul mummifico schieramenti referendario e/o trasversalitico. Non serve a far tacere Cossiga. Non serve a sferzare la letargica sinistra italiana. Non serve alla politica. Non serve alla Patria. Non serve all’Europa. Come direbbe qualsiasi iscritto a qualunque schieramento politico italiano, votare Marcello Baraghini significa solo disperdere il voto».
Chi scrive così è proprio quel Lucio Battisti che due anni dopo, agosto 1994, L’Unità indicò, in un titolo a tutta pagina, come «Lucio il situazionista», scrivendo delle imperfezioni della sua voce, del suo disagio ad esporsi, delle sue passioni ed emozioni. Forse è il rovesciamento di prospettiva, è il détournement ad ispirarlo nella seconda parte di quella sorprendente lettera. Continua infatti il nostro, rivolto a Marcello Baraghini: «Ti posso enumerare da subito quale nefaste conseguenze potrebbe avere la raccolta di un numero di adesioni sufficienti a spedirti al parlamento». Un elenco che comprende: «Uscire dalla semiclandestinità per rimarcare il tuo passato di militante della libertà (137 procedimenti giudiziari per reati d’opinione) non omologato e non irregimentato: inondare le vie e le pazze cittadine di concerti, spettacoli e mostre gratuite; sparire la cultura della notte (spazi, occasioni, incontri); riaffermare la libertà di musica (per il rock nelle scuole, per le sale di registrazione gratuite, contro lo sciacallaggio e la pirateria); ripulire l’etere dalla mondezza consumistica e rincoglionente; stimolare vecchi e nuovi scrittori a tirare fuori dai cassetti i loro inediti, le loro testimonianze, la loro vita; fare un libro Millelire al giorno».
Poi, la chiusura. Che è anche annuncio di quel che sarebbe stato di lì a poco Lucio Battisti, sino alla morte, il 9 settembre 1998: clandestino a quella “mondezza”. Scriveva: «Lascia perdere, Marcello, siamo rimasti veramente in troppo pochi a voler vivere veramente simili libertà. Lasciami in pace al calduccio dei miei quarant’anni suonati, un po’ schifato e un po’ annoiato. Piantala di rompere le scatole alle nuove generazioni: non capirebbero!».
Firmato: Lucio Battisti. Che aggiunge un post scriptum: «Maledetto rompicoglioni avevo deciso di non andare a votare! Sono stato costretto a ragionare per scriverti questa lettera (e ragionare, di questi tempi, è pericoloso). Per non sentirmi un verme sono costretto a partecipare a queste fottutissime elezioni e darti il mio fottutissimo voto…».
L’AVVENTURA CULTURALE DI BARAGHINI
Sarebbe però ingeneroso limitare alla pur sorprendente lettera battistiana il densissimo racconto che Marcello Baraghini fa e che Daniela Piretti restituisce. Perché quello di Baraghini – in cammino verso gli 80 anni, il tempo di raggiungere il prossimo 19 novembre –è una avventura culturale, prima ancora esistenziale, di estrema ricchezza. Lascia la famiglia – i rapporti erano tutt’altro che idilliaci – e approda a Roma, minorenne. È correttore di bozze, la carta, i libri, le riviste diventano il suo pane.
Trova una mansarda con più stanze nel cuore della città, vi abiterà con Marco Pannella e il partito radicale, dopo una iniziale infatuazione per il Psiup, diventerà a lungo la sua casa. Diritti civili, nonviolenza, divorzio, aborto, coltivazione della marijuana, lotta ai padroni della musica, controinformazione: il suo è un cammino libertario, lontano dai dogmatismi di gran parte della sinistra, più affine a beatnik, situazionisti, anarchici, provos che non alle liturgie maoiste e staliniste. Infatti con Marco Pannella e altri due militanti radicali è a Sofia, a distribuire volantini contro l’invasione della Cecoslovacchia, nel settembre 1968. Finisce in carcere, lo liberano dopo qualche giorno e viene rispedito in Italia. Dove il suo essere underground, sull’esempio delle free press americane, si traduce nell’ottenere la tessera di giornalista pubblicista.
L’ESPERIENZA DI STAMPA ALTERNATIVA
Da quel giorno decine e decine di riviste potranno fregiarsi della dicitura «supplemento a Stampa Alternativa, direttore responsabile Marcello Baraghini». Nel 1970 Stampa Alternativa diventa anche casa editrice. Sforna best seller alternativi, uno dei quali, Contro la famiglia. Manuale di autodifesa per minorenni, supera le 50mila copie e gli costa una condanna a 18 mesi per incitamento all’aborto. In precedenza anche una condanna per un opuscolo a favore dell’obiezione di coscienza. È latitante, non va in carcere, fino all’amnistia che cancellerà le pendenze. Lo scrive anche Lucio Battisti: «137 procedimenti giudiziari per reati d’opinione».
Poi negli anni Ottanta inventa i Millelire che deflagrano nel mercato editoriale italiano: piccoli libretti, veste scarna, un catalogo mai fermo. Di Lettera sulla felicità di Epicuro, complice una comparsata televisiva al Maurizio Costanzo show, si vendono due milioni di copie. Il suo marketing barricadero, fuori da ogni regola, viene studiato nelle università, lui conquista persona premi e riconoscimenti. Non deflette di una virgola dal suo percorso controcorrente, quello ben sintetizzato nel titolo di una plaquette che gli dedica, qualche anno fa, Babbomorto editore: Manuale per diventare editore all’incontrario. Alfiere di quel ballo coi libri, mai interrotto, che Daniela Piretti ha saggiamente deciso di raccontare. Compresa la dichiarazione di voto di Lucio Battisti a favore di Marcello Baraghini.
Balla coi libri. 50 anni di controcultura fra passato e presente. Marcello Baraghini si racconta a Daniela Piretti