l’intervista
Farian Sabahi
Tel Aviv
Per Farian Sabahi, docente di Storia e politica dell’Iran presso John Cabot University Roma e autrice di «Storia dell’Iran 1890-2020» (Il Saggiatore 2020) e «Noi donne di Teheran» (Mimesis 2022) con una nuova prefazione sulle proteste, l’abolizione della polizia morale in Iran, se confermata, «non servirà a fermare le rivolte».
Gentile Sabahi, il procuratore generale ha affermato che la Repubblica islamica ha sciolto il corpo della polizia morale ma il ministero dell’Interno, che ne è responsabile, non ha commentato. È pur vero che, secondo diversi testimoni, ultimamente si vedevano sempre meno agenti, proprio per evitare di far aumentare la temperatura delle proteste. Possiamo credere all’annuncio?
«Al momento la notizia non è confermata. Di certo, tra le fila della leadership c’è chi cerca il compromesso e chi invece preferisce la linea dura, dell’intransigenza. Fin dalla morte della 22enne curda Mahsa Amini i deputati iraniani avevano ipotizzato un ridimensionamento della polizia morale e persino una sua abolizione. Il deputato Jalal Rashidi Koochi aveva dichiarato che la polizia morale “non ottiene alcun risultato, se non quello di causare danni al Paese”. Il presidente del Parlamento Mohammad Bagher Ghalibaf, già sindaco di Teheran, aveva chiesto che la condotta della polizia morale fosse oggetto di un’inchiesta: per evitare che si ripeta quanto accaduto a Mahsa, aveva affermato il presidente del Parlamento, “i metodi utilizzati da queste pattuglie dovrebbero essere rivisti”. Ancora più radicale un altro parlamentare, Moeenoddin Saeedi, che intendeva proporre l’abolizione totale della polizia morale e infatti ha dichiarato: “A causa dell’inefficacia del Gasht-e Ershad nel trasmettere la cultura dell’hijab, questa unità dovrebbe essere abolita, in modo che i bambini di questo Paese non ne abbiano paura quando vi si imbatteranno”. In ogni caso, anche senza polizia morale, nelle strade dell’Iran continueranno a esserci poliziotti, militari, pasdaran e paramilitari basiji a controllare che le donne siano vestite a dovere, e a reprimere il dissenso».
A cosa stiamo assistendo? Si tratta di una strategia messa in atto per tentare di sedare le proteste con concessioni misurate? O sono decisioni prese in emergenza, che di fatto si adattano a una nuova realtà in cui sempre più donne ora appaiono in pubblico senza hijab e sarebbe impossibile punire così tante persone che, tutte insieme, violano la legge?
«Credo sia un tentativo di tenere a bada il dissenso che scuote il Paese, e non soltanto da due mesi e mezzo. L’abolizione della polizia morale arriva però tardi, nel senso che non servirà a fermare le proteste perché nel frattempo sono state avanzate altre rivendicazioni in termini di richiesta di maggiori diritti e libertà. C’è inoltre la consapevolezza che togliere di torno la buoncostume non porterà a un miglioramento della condizione femminile perché non equivale ad abolire l’obbligo del velo, una questione su cui le autorità di Teheran stanno discutendo proprio adesso, riservandosi 15 giorni di tempo per esprimersi».
A chi vuole davvero parlare, allora, il Consiglio supremo della rivoluzione culturale, con i due recenti annunci, se il messaggio non basterà a placare i manifestanti? Si rivolge forse alle cancellerie occidentali, per i provvedimenti e le sanzioni? Quale obiettivo immediato può sperare di ottenere Teheran?
«L’impressione è che la leadership di Teheran si rivolga soprattutto a quella parte della popolazione che ancora non ha preso parte alle proteste. Non credo che vi sia un interesse a compiacere le cancellerie occidentali, per una serie di motivi: il 16 settembre 2022, in concomitanza con la morte di Mahsa Amini, il presidente iraniano Raisi aveva perfezionato l’adesione dell’Iran alla Shanghai Cooperation Organization (SCO) di cui fanno parte Russia, Cina, India, Pakistan e 4 delle 5 repubbliche dell’Asia Centrale. Di fatto, Teheran guarda sempre più a Oriente».
Cosa si aspetta che accada nei prossimi giorni di mobilitazione e nella giornata nazionale degli studenti universitari, in cui è atteso il presidente Raisi all’Università di Teheran?
«Probabilmente ci saranno ulteriori contestazioni e ulteriore repressione. Ma anche qualche manifestazione pro regime organizzata dalle autorità per dimostrare che la Repubblica islamica gode ancora di consenso. In genere a queste manifestazioni pro regime partecipano persone trasportate con i bus e retribuite».
Come definirebbe questo passaggio delicato, dall’annuncio sulla revisione del velo a quello dell’abolizione della polizia morale? La prudenza ci invita a non usare la parola vittoria.
«L’impressione è che la leadership si sia finalmente accorta della perdita di legittimità legata all’uso della violenza, nonché dell’abisso che separa coloro che detengono il potere dalla popolazione che reclama ben altro, perché sono frequenti gli slogan “Abbasso al dittatore” e quelli che invocano la fine della Repubblica islamica. Dopo due mesi e mezzo di proteste, dopo centinaia di morti e migliaia di persone arrestate che rischiano la pena di morte, gli iraniani in strada non si accontenteranno né dell’abolizione della polizia morale né di una revisione del velo.