La squallida vicenda di corruzione alla Regione Liguria non è cronaca locale, è la storia di questa nostra Italia meravigliosa e sciagurata.
Una storia fosca, sozza, che narra di infedeli servitori dello Stato, amministratori pubblici accampati sul territorio della Patria come un esercito d’occupazione dedito al saccheggio; eletti dal popolo divenuti, giorno dopo giorno, in una pervicace opera di spoliazione, nemici del popolo.
La Liguria è, da questo punto di vista, emblema dell’Italia intera. Dell’Italia migliore e, al tempo stesso, di quella peggiore. La vasta area costiera che si stende a mezza luna dalla foce del Magra al Rio San Luigi potrebbe, infatti, essere oggi la regione italiana più bella. Lo sarebbe se non fosse stata stuprata impunemente dall’avidità e dal cemento.
Sono lontani gli anni della “rapallizzazione” — lo scempio paesaggistico che a partire dagli anni Cinquanta, e per tutti i Settanta, sommerse piccoli borghi marittimi medioevali sotto colate di cemento destinate a illudere i “forzati dello svago” vacanziero –, sono lontani gli anni in cui Italo Calvino tornando in Riviera in treno dalle città di pianura non riconosceva già più la sua terra, eppure, in Liguria più che altrove, il saccheggio continua.
Da tempo si sono estinti i poveri pescatori-contadini, figli di secolare miseria, che vendevano il loro magnifico orto alle spalle del carruggio al palazzinaro piemontese o lombardo.
Eppure lo scempio continua. A dispetto di tutto. Della nuova sensibilità ambientale, della gravissima crisi ecologica, del grido disperato lanciato dalle giovani generazioni. Continua lo scempio, spudorato, imperterrito, perfino grottesco. Come una catastrofe al rallentatore.
«Sono qui buttato in barca da Aldo, facciamo la proroga così è tranquillo».
Dice tutto la telefonata del politico corrotto stravaccato come un satrapo satollo e ignobile sullo yacht del corruttore (stando, ovviamente, all’ipotesi di reato formulata dalla Procura di Genova).
Quella singola frase racconta meglio di un intero romanzo quale spietata bassezza morale possa spingere il rappresentante del popolo a tramare per privatizzare una piccola, splendida spiaggia del popolo a beneficio del profitto illecito e del privilegio dei ricchi.
Per mano di questi uomini “buttati in barca da Aldo” l’ennesima spiaggia libera sarebbe diventata appannaggio esclusivo dell’ennesimo resort di lusso.
Un bene comune, un bene di tutti, che a ciascuno avrebbe potuto donare anche una sola “bella giornata”, la giornata perfetta da ricordare per tutta la vita, declassata a riserva esclusiva per pochi, sempre quelli, sempre gli stessi, i palazzinari osceni, i tragici costruttori di ponti crollati, i saccheggiatori.
Dice tutto la frase di questi squallidi “uomini buttati” eppure non dice niente.
Non dice perché quel popolo defraudato della poca bellezza ancora rimastagli sopporti tutto questo. Non svela il mistero dell’ingiustizia in una terra a lungo saccheggiata che continua a tollerare il saccheggio.
I complici, gli implicati, gli interessati sono molti — non ci facciamo illusioni a riguardo — ma tutti gli altri? Perché tutti gli altri continuano a subire l’incessante consumo del suolo, l’accaparramento dei beni pubblici, la devastazione dei paradisi della propria infanzia?
E fino a quando?
Fino al giorno in cui i discendenti di quei poveri pescatori-contadini non avranno nemmeno più un lembo di spiaggia sotto i piedi da cui tuffarsi nel mare dei loro avi?
Ora basta.
La Liguria è in vendita da troppo tempo.
E la Liguria siamo noi, siamo tutti noi.