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L’approvazione del progetto esecutivo per la variante della Cassia tra Siena e Monteroni ha riacceso gli entusiasmi istituzionali. Il sindaco di Monteroni d’Arbia, Gabriele Berni, parla di un intervento straordinario, del superamento dell’incompiuta di Isola d’Arbia e di un collegamento capace di rafforzare lo sviluppo dell’area meridionale della provincia. La previsione di un investimento da 120 milioni di euro e l’avvio della gara sembrano segnare la fine di una lunga impasse.
Dietro questo racconto ottimistico, però, emergono alcune criticità. Il nuovo tracciato, 7,6 chilometri a due corsie con viadotti e un unico nodo di intersezione, è utile ma non all’altezza del ruolo che questa direttrice svolge per Siena. L’asse Monteroni–Siena non è una semplice strada extraurbana: ogni giorno sostiene i flussi di lavoratori, studenti e servizi che gravitano sul capoluogo. Progettarlo con gli stessi parametri della viabilità secondaria significa non coglierne il peso reale.
Anche l’argomento della sicurezza va ridimensionato. Una strada nuova non garantisce automaticamente condizioni migliori, soprattutto se mantiene la stessa tipologia dell’asse esistente. L’assenza di corsie di emergenza, la complessità dei viadotti e la continuità con la Cassia storica limiteranno gli effetti positivi. Soprattutto, la criticità principale resta irrisolta: la confluenza finale verso Colonna San Marco, dove il traffico extraurbano e quello cittadino continueranno a sovrapporsi. L’imbuto non scompare, semplicemente riceverà i flussi con maggiore regolarità.
Lo stesso Berni riconosce che l’opera, da sola, non basta. Ma proprio questo punto mette in luce il limite strutturale: la variante procede senza un disegno complessivo. A mancare è una strategia integrata che affronti insieme accessi, trasporto pubblico, parcheggi scambiatori e gerarchia della rete viaria. Così la vecchia Cassia resterà un’alternativa per molti automobilisti, creando un sistema parallelo che sposta i problemi, senza risolverli.
Il Piano Strutturale oggi in discussione conferma questa assenza di visione. Individua le criticità ma non ridisegna gli ingressi, non ripensa il rapporto tra Siena e la Val d’Arbia, non costruisce un quadro coerente tra territorio e città. L’accesso sud rimane il punto debole di un sistema che continua a essere affrontato per interventi puntuali, senza un progetto unitario.
La variante chiuderà una ferita paesaggistica — l’opera incompiuta di Isola d’Arbia — ma non quella infrastrutturale. Segna un passo avanti, certo, ma non cambia la struttura della mobilità e non modifica il modo in cui Siena si connette con il suo territorio. Per farlo servirebbe una visione più ampia, capace di affrontare il nodo degli accessi e di immaginare un sistema realmente integrato. Questa, ancora una volta, rimane la vera occasione mancata.





