di Gianluca Nicoletti
Quando un uomo ammazza una donna, sono sempre le donne a prendere la parola. È un fatalismo passivo da cui gli uomini, soprattutto i padri, dovrebbero invece emergere. Non è lecito che il femminicidio sia universalmente percepito come un problema che riguardi “quasi” esclusivamente le donne. La piccola percentuale di maschi che ha a cuore la mattanza compie una scelta di campo politica, fa parte di una minoranza militante di uomini che si ritengono interpreti di una mascolinità “ingentilita”, che prende comunque le distanze dai loro simili trogloditi, come se veramente si trattasse di una stirpe di orchi dei quali non sono certo loro a rispondere.
Sono più che convinto che la tossicità di cui si alimentano lavori di macelleria come quello di cui è stata vittima Giulia Cecchettin non abbia colore politico, non vedo un’ideologia predominante che, seppur velatamente, favorisca a mantenere fertile l’humus in cui continua a prosperare.
Le colpe sono a destra come a sinistra, ovunque ci siano dei padri che non abbiano concretamente trasmesso ai propri figli con l’esempio, le parole e i fatti il concetto basilare che le donne oggi non sono più le principesse delle favole o le regine del focolare che rassicurano il nostro ruolo dominante.
Sono almeno due o tre le generazioni di padri che si sottraggono dallo spiegare senza reticenza ai propri figli che le donne dovrebbero essere da loro considerate come esseri a cui è stato finalmente concesso di essere persino “sregolate”, in barba a una natura che le ha progettate con un’ esistenza scandita da regole, con la funzione base di rappresentare il collettore supremo, quello per cui passa il ciclo della vita.
È ipocrita negare che ogni maschio che in famiglia non si è fatto attivamente parte dell’annuncio di questo cambiamento epocale dovrebbe dichiarare di essere in parte responsabile di ogni suo simile che massacra di botte, accoltella, spara addosso a una donna che rifiuta di essere considerata una sua proprietà.
Non basta sentirsi dei buoni padri per tirarsi fuori da questo sconcio nazionale. Non mi interessano statistiche e numeri, non mi interessa se altri altrove facciano di peggio. Noi siamo quelli che solo da un pugno di anni si sono scrollati di dosso l’infamia del “delitto d’onore” e la schifezza dello “ius corrigendi”. Siamo quelli che hanno visto le donne gradualmente affrancarsi dalla condanna a essere solamente fattrici, angeli del focolare, ammortizzatori pazienti di ogni nostra angustia, nevrosi, debolezza nascosta.
Noi sì che abbiamo faticato per essere diversi dai nostri padri e dai nostri nonni, abbiamo rinnegato lo scettro e la corona che questi ci avrebbero passato per continuare a considerare le donne «esseri meravigliosi», o «la ragione di ogni nostra felicità», o «testimoni della bellezza del creato». Sono proprio queste melensaggini da lumacone di paese a sottrarci dal pensare che potremmo fare veramente di più, oltre che camuffarci nel coro delle prediche ogni volta che le cronache riportano la vicenda di un uomo che uccide una donna solo perché tentava di sfuggire da quella galera puzzolente che lui millantava per amore.
Mi meraviglia veramente che in questa contingenza istituzionale, dove si osserva ossessiva la contrapposta rivendicazione quotidiana di “valori”, nessuno prenda in considerazione una concreta chiamata alla propria responsabilità, diretta a noi padri senza girarci intorno, qualunque sia la propria visione del mondo.
Inutile fingere di essere dalla parte luminosa della forza se non si ha il coraggio di prendere atto del fatto che i nostri “ragazzi d’oro” non sempre sono innocenti. È ridicolo sognare cavalieri bianchi, con lo spadone sguainato pronti a combattere gli oscuri abitanti delle tenebre, se continua a passare il concetto che tocchi alle donne mobilitarsi per non essere uccise da maschi vigliacchi.
Si smuovano dunque dai tuguri mentali in cui da anni si rifugiano anche i più fieri rappresentanti del maschio alfa, come pure i maschi politicamente correttissimi che si proclamano astrattamente femministi. Si confrontino su questo quanto prima, altrimenti continueranno, tutti compresi, a sembrare fasulli, come quei figuranti del tempo che fu che sfilano nelle città d’arte per la festa del patrono organizzata dalle pro loco.