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di Massimo Franco
I toni irati di Giorgia Meloni rischiano di dare l’impressione di una sconfitta europea maggiore di quanto sia davvero. Il nervosismo filtrato ieri dalle parole della premier in Parlamento contro la maggioranza continentale che si sta saldando prefigurano un indebolimento dell’Italia sottolineato in modo fin troppo marcato. È difficile non pensare che Palazzo Chigi sia vittima della propria narrazione post-elettorale. Avere evocato un’Italia «determinante in Europa» ora si ritorce contro la maggioranza di destra: anche se le manovre non sono chiuse.
Come ha detto il capo dello Stato, Sergio Mattarella dopo avere ricevuto i vertici dell’esecutivo in vista del Consiglio europeo di oggi, «non si può prescindere dall’Italia». E verosimilmente alla fine Meloni otterrà almeno un commissario di peso. Il problema è in quale contesto, e con quali interlocutori. La scelta di additare gli «oligarchi» dell’Ue come registi di un accordo sulle cariche di vertice come una disdetta della volontà popolare emersa l’8 e 9 giugno scorsi appare scivolosa.
E non perché non si sia registrata una torsione a destra dell’elettorato. C’è stata e netta. Ma in parallelo ha tenuto e guadagnato il Ppe, al punto da poter mettere insieme una maggioranza, compatta sebbene fragile, con socialisti e liberali. E soprattutto perché le destre appaiono divise: in primo luogo sulla politica estera, che significa conflitto della Russia contro l’Ucraina e rapporti con la Nato. Non a caso la coalizione di governo è composta da partiti che appartengono a «famiglie» europee diverse.
È possibile che i toni alti della premier nascano dal calcolo di pesare di più se domenica in Francia la destra di Marine Le Pen dovesse prevalere. In quel caso, l’esigenza di coinvolgere il suo gruppo dei conservatori, ritenuti più moderati e non sospettati di simpatie filorusse, diventerebbe più verosimile. Ma il rischio di uno scontro aperto con le nascenti istituzioni europee non va sottovalutato: sul piano interno e internazionale. Basta mettere in fila quanto ha detto ieri il vicepremier Matteo Salvini e altri leghisti.
Fa capire che gli alleati italiani di Le Pen si preparano a bersagliare Meloni, se alla fine puntellerà coi suoi voti la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Il problema, tuttavia, si acuirebbe se Meloni si sentisse spinta ad avallare una linea conflittuale: cosa che ha evitato saggiamente in quasi due anni a Palazzo Chigi. Con una procedura di infrazione contro l’Italia per eccesso di deficit, e dunque con l’esigenza di negoziare margini di flessibilità e evitare manovre correttive pesanti, sarebbe una sfida piena di incognite.