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di Massimo Gaggi
L a Corte Suprema Usa ha demolito l’affirmative action. Con una sentenza di 6 (conservatori) contro tre (liberal), i giudici statunitensi hanno deciso che le università e i college non potranno tenere conto della razza per valutare le ammissioni. Criterio che in realtà favoriva le minoranze. Se Trump plaude, Biden si è detto «in disaccordo».
U na decisione storica che inciderà sulla composizione etnica dei ceti professionali americani, una sconfitta dell’America progressista che suscita indignazione nelle minoranze più svantaggiate, neri e ispanici; ma anche una sentenza attesa da parte di una Corte Suprema i cui giudici conservatori, ormai ampia maggioranza, avevano messo nel mirino da anni l’ affirmative action (discriminazione positiva): l’introduzione degli svantaggi sociali ed economici sofferti dagli studenti cresciuti nei gruppi etnici più poveri tra i criteri per l’ammissione in molti college.
La sentenza con la quale ieri la Corte Suprema ha dichiarato incostituzionale questa politica per come viene praticata dall’università di Harvard e da quella del North Carolina fa cadere un impianto usato anche da molti altri istituti. Probabilmente in futuro peserà anche sugli studenti bianchi delle migliori accademie, a partire da quelle della Ivy League, nelle quali cresce di continuo il numero degli allievi asiatici che ottengono mediamente voti più alti nei test di ammissione. Grande emozione, scontro aperto nella Corte: i tre giudici progressisti sconfitti hanno definito la decisione «una tragedia che cancella decenni di progressi». Dolore profondo di Barack e Michelle Obama che sono riusciti ad emergere (come pure giudici costituzionali di colore, dalla Sotomayor all’arciconservatore Clarence Thomas) anche grazie all’ affirmative action .
Durissima la reazione di Joe Biden, arrivato a sfiorare lo scontro istituzionale quando, a un giornalista che chiedeva se considera l’attuale magistratura suprema una «corte canaglia» ha risposto: «Tutto questo non è normale». Per il presidente «non si può consentire che questa sia l’ultima parola»: è la negazione del sogno americano e poi «i college sono più forti quando rispecchiano la diversità».Infine scandisce per tre volte: «La discriminazione esiste ancora in America». Va comunque rilevato che, applicato con risultati inizialmente positivi, poi sempre più spesso criticato, il principio della affirmative action è andato incontro a contestazioni crescenti da almeno 15 anni a questa parte. Anche se la Corte lo ribadì nel 2016, ad esempio, l’attuale presidente della Corte, John Roberts, autore delle motivazioni della sentenza che giudica incostituzionale inserire la razza tra i criteri di ammissione, sostiene dal lontano 2006 (era appena entrato nella magistratura suprema), che l’ affirmative action viola il principio dell’uguale partecipazione sancito dal 14esimo Emendamento. Del resto ben nove Stati dell’Unione ne hanno da tempo cancellato l’uso: tra loro Stati molto importanti come la California, la Florida, il Michigan, la Georgia. E nel 2020 un referendum per il ripristino dell’ affirmative action in California ha visto la vittoria dei «no».
Che la materia sia controversa lo ha ammesso lo stesso Barack Obama: ha definito la norma imperfetta, aggiungendo, comunque, che i suoi effetti sociali sono stati positivi mentre Michelle ha detto di avere il cuore spezzato e ha spiegato che quella tutela «offriva una nuova scala di opportunità a chi si era visto negare la chance di dimostrare quanto rapidamente era in grado di salire i suoi gradini». Del tutto opposta la reazione di Donald Trump: «Oggi è un grande giorno per l’America».
Scontro al calor bianco nella Corte con la progressista Sotomayor e il conservatore Clarence Thomas che, con gesto irrituale, hanno letto pubblicamente le loro opinioni, zeppe di accuse reciproche. La maggioranza si è appellata a questioni di principio, senza curarsi delle conseguenze pratiche: il rischio è di tornare a università senza o con pochissimi neri e ispanici, accentuando squilibri già oggi molto forti, come ha sottolineato lo stesso Biden. Pacata e chiara la reazione di Harvard: l’applicazione di questi principi renderà «difficile mettere insieme un corpo di studenti che rappresenti la composizione sociale dell’America».
In realtà, poi, i giudici conservatori hanno accantonato i loro principii, quando l’hanno ritenuto opportuno: il divieto di affirmative action per chi riceve risorse pubbliche non riguarda le accademie militari. Un’eccezione che viene giustificata con esigenze di sicurezza nazionale.