Stefano Lo Russo
«Io penso che serva un po’ di coraggio: uscire dagli steccati ideologici e aprire una grande discussione nel Paese. Dobbiamo essere pragmatici perché i dati sono eloquenti e inequivocabili». Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo lancia a Giorgia Meloni, al suo governo e alla destra che ne tiene le redini la sfida dello Ius Scholae: l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. E sollecita una riflessione – a suo dire non più rinviabile – sul tema della cittadinanza per chi italiano non è ma ci si sente e come tale vive nella quotidianità. A cominciare, appunto, dalle scuole: «Il fatto che nelle grandi città, come ad esempio Torino, oltre un quarto degli studenti che frequentano le nostre scuole non abbia la cittadinanza italiana è un tema molto rilevante. Significa negare al Paese un investimento sul futuro».
Sindaco, lei sostiene che i dati siano eloquenti. Che cosa ci dicono?
«Nelle scuole primarie della nostra città ci sono 25 mila bambini italiani e quasi 9 mila stranieri. Ma di questi alunni senza cittadinanza, quasi l’80% è nato sul nostro territorio. Stesso discorso per le scuole secondarie di primo grado (le medie, ndr): su 23 mila ragazzi ci sono 17.500 italiani e 5.150 stranieri, di cui quasi 4 mila sono qui già dalla nascita. Parliamo di bambini che vivono gomito a gomito insieme con i loro coetanei, giocano con loro, studiano con loro la nostra storia, la nostra letteratura, imparano a coniugare correttamente i verbi della lingua italiana. Ma sanno di non essere italiani. A questi bambini voltiamo le spalle».
Con quali conseguenze?
«Alcune di ordine etico (non è giusto nei loro confronti), ma altre sono molto più concrete».
Ad esempio?
«Questi ragazzi hanno un senso di appartenenza al nostro Paese che andrebbe accolto e valorizzato; garantire loro la cittadinanza attraverso il percorso scolastico li farebbe sentire pienamente parte della nostra comunità anziché percepirsene esclusi come in molti casi accade oggi. E favorirebbe anche l’integrazione delle loro famiglie, di cui spesso sono il principale motore potenziale. Tanti di questi ragazzi si sentono già italiani. Lo sono per i loro compagni, per i loro insegnanti, perché non anche per lo Stato?».
Qualcuno potrebbe obiettare che il miraggio della cittadinanza per i bambini potrebbe essere un ulteriore incentivo a chi decide di migrare in Italia.
«La migrazione verso l’Europa è un fenomeno incontrovertibile, come tra l’altro testimoniano i numeri record di quest’anno. È ora di non guardare a questi temi con atteggiamenti ideologici: nelle nostre scuole si formano non solo i cittadini, ma anche i lavoratori del futuro, quelli su cui tra l’altro ricadrà l’onere di mantenere il sistema di welfare di cui oggi tutti beneficiamo e che gran parte del mondo ci invidia».
Le nostre scuole, fra l’altro, hanno sempr emeno studenti.
«Vent’anni fa Torino aveva 896 mila residenti. Gli italiani erano 850 mila: il 13% aveva meno di 18 anni, il 5% più di 80. Adesso la situazione è questa: su 860 mila cittadini gli italiani sono 724 mila e, tra loro, il 12% è minorenne, ma gli over 80 sono diventati il 10%. Raddoppiati in vent’anni mentre i giovani restano stabili. Dei 134 mila stranieri, invece, il 20% ha meno di 18 anni, il 28% meno di 35 anni e nemmeno l’1% è ultraottantenne».
Dove ci porteranno questi numeri?
«Tra 15 anni Torino, così come tutta Italia, avrà un numero di persone anziane ancora più grande e questo va affrontato per tempo se vogliamo garantire la tenuta del sistema di welfare, le pensioni, lo stato sociale. Occorre già ora impostare scelte strategiche».
Di che tipo?
«I servizi verso la terza età saranno sempre più complessi e prioritari. Bisognerà immaginare politiche pubbliche che tengano insieme lo stimolo allo sviluppo e alla crescita con la tutela della fasce più fragili, soprattutto quella più anziana, che peraltro in molti casi vive da sola. Politiche che siano sostenibili economicamente».
Vede delle soluzioni?
«A ora ci sono solo due fattori che riescono in parte a bilanciare il rapido e progressivo invecchiamento della popolazione: le persone arrivate da altri paesi e gli studenti universitari fuori sede. Entrambe queste categorie hanno caratteristiche comuni: parliamo di persone che arrivano da fuori, talvolta da molto lontano, e sono giovani. Sulle loro spalle ricadrà buona parte delle sfide del futuro compresa quella di difendere e garantire le conquiste del nostro stato sociale. La sfida è lavorare su come garantire diritti ai primi e opportunità ai secondi».
Da destra le obietteranno che questa è una scorciatoia. La strada maestra è investire sulla natalità. Sbagliano?
«Le due cose non sono per nulla in contraddizione tra loro, anzi. Le politiche per la natalità, anche quando sono molto efficaci, non hanno effetti immediati. E non sono antitetiche al riconoscere la cittadinanza italiana ai bambini che frequentano le nostre scuole. Il tema della demografia è talmente rilevante in termini di proporzioni che o si cambia approccio anche al tema dell’immigrazione o difficilmente nel breve il nostro sistema reggerà. È anche una questione di numeri e di trend. L’immigrazione può e deve diventare una opportunità di nuova crescita economica per l’Italia e per l’Europa. Peraltro di fronte alle crisi tutte le grandi economie nella storia si sono sviluppate gestendo intelligentemente e pragmaticamente i fenomeni migratori».
Qual e soluzione propone?
«Non c’è una soluzione sola. Partiamo dai dati, che sono eloquenti e innegabili. Sostegno alla natalità, politiche per le famiglie ma anche lo Ius Scholae che è certo un tema di civiltà, integrazione ma anche molto pragmatico: su questi temi potrebbe misurarsi un governo di destra come quello di Meloni avendo il coraggio di uscire dagli steccati ideologici, e chiedendo a tutti di farlo, nell’interesse del Paese e del suo futuro».
a. ros.