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20 Luglio 2024giorgia meloni
di Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini
Presidente Giorgia Meloni, la sua scelta di schierare l’Italia contro il bis di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione Ue ha scatenato polemiche infinite. Se lo aspettava? E resta convinta di aver agito per l’interesse dell’Italia?
«Intanto voglio chiarire che io ho schierato l’Italia nel Consiglio europeo di fine giugno astenendomi sul mandato a von der Leyen, suggerendo a tutti di tenere in considerazione l’indicazione emersa dalle urne. Giovedì, invece, ho schierato il mio partito, all’interno di un voto parlamentare, sul programma politico della prossima Commissione. È una distinzione fondamentale. Dopodiché qualsiasi cosa io faccia genera polemiche infinite, e dunque ovviamente sì, me lo aspettavo. Poi le polemiche bisogna saperle leggere anche nella loro serietà».
A chi si riferisce?
«Il M5S mi insulta perché ho votato come loro, il Pd perché non ho votato come loro dopo aver loro stessi minacciato di non sostenere von der Leyen se si fosse azzardata a dialogare con me. E tutti insieme insultano i partiti del centrodestra per aver votato in modo difforme, esattamente come hanno fatto loro. La credibilità della predica si valuta sempre anche dall’autorevolezza del pulpito».
La sua scelta ha stupito, spiazzato e suscitato allarme.
«Penso di avere fatto una scelta di coerenza, non sulle mie posizioni, ma rispetto alle elezioni europee. Mi fa sorridere come alcuni osservatori non tengano minimamente in considerazione che cosa i cittadini hanno chiesto con il loro voto dell’8 e 9 giugno. Noi personalizziamo sempre, ma il tema non è von der Leyen sì o no, il tema è quali siano le priorità di cui l’Europa deve occuparsi».
Come risponde all’accusa di aver isolato l’Italia, schierandola all’opposizione del nuovo governo europeo?
«Mentre von der Leyen parlava io ho ricevuto messaggi di imprenditori, industriali, non persone antisistema che vogliono l’Italia fuori dalla Ue, ma persone che hanno imparato che questa è un’Europa che non guarda il contesto nel quale si muove e pensa che la sua missione sia semplicemente iper regolare tutto».
E com’è il contesto nel quale l’Unione si muove?
«Nel 1990 la Ue a 12 Stati valeva il 26,5% del Pil mondiale, la Cina l’1,8%. Oggi l’Europa a 27 Stati vale il 16,5% e la Cina il 18%. Vuol dire che quando nel 1990 l’Europa pensava che occupandosi di sé stessa si sarebbe anche occupata del contesto faceva una cosa sensata, ma adesso non è più così. Se non valuti il contesto rischi di creare enormi problemi di competitività. Ho incontrato qualche giorno fa alcuni rappresentanti della Round Table europea, che riunisce le grandi industrie europee, e c’erano enormi convergenze tra le loro preoccupazioni e la mia strategia, in materia di competitività, sul tema di una transizione verde e compatibile con sostenibilità economica e sociale, e sull’energia».
Avete scelto di non dichiarare il voto in anticipo perché speravate di essere decisivi e poi passare all’incasso?
«Io non ragiono così. Semplicemente ho chiesto al mio partito di convocare la riunione mezz’ora prima del voto perché volevo che potessimo decidere avendo tutti gli elementi a disposizione. Ho aspettato di ascoltare il discorso, ho aspettato di conoscere quali gruppi l’avrebbero sostenuta. Non ho scelto in base a un principio o a uno schieramento ideologico. Ragiono per quello che è meglio per l’Italia e per l’Europa. La presidente ha detto cose che ci trovano d’accordo, in particolare sull’immigrazione, confermando il cambio di passo impresso soprattutto grazie al lavoro italiano. Ma ha anche detto cose che sia nel metodo sia nel merito non rendevano possibile il voto di Fratelli d’Italia».
Dunque, come pensano molti, lei ha ragionato da leader di partito e non da capo del governo italiano?
«Mi sono comportata come si dovrebbe comportare un leader europeo perché mi sono chiesta se la traiettoria fosse giusta. E siccome non posso dire di considerarla giusta soprattutto su alcune delle materie sulle quali i cittadini hanno chiesto un cambio di passo, come la transizione verde, ho fatto come sempre quello che mi pareva più giusto, senza condizionamenti e senza timore. Se decidi di dire sì solo per fare quello che fanno gli altri non fai il lavoro che compete a un leader».
Non crede che questo la ponga dalla parte degli antieuropeisti?
«Questo eterno racconto di europeisti contro antieuropeisti non regge alla prova della storia e della politica. Sono schematismi infantili. Io penso che sia mio dovere dire quando penso che le cose non funzioneranno, anziché mettere la polvere sotto il tappeto. Ci troviamo in un contesto internazionale, economico e geopolitico difficilissimo. Molte certezze che avevamo stanno venendo meno. Se qualcuno non lo dice, se ciascuno non fa la propria parte per raddrizzare il percorso, lo pagheremo tutti. Lo abbiamo già visto accadere. E quindi penso che si sia molto più credibili se si ha il coraggio di sostenere le proprie posizioni, fermo restando che devono essere posizioni ragionevoli, piuttosto che se si sceglie di tacere per quieto vivere, salvo poi lamentarsi in privato, come ho visto fare a volte».
La accusano di aver commesso un azzardo che danneggia l’Italia. Vuole spiegare meglio la strategia?
«La strategia l’ho già spiegata, è essere consapevoli del proprio ruolo. L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione, uno dei più grandi e influenti Paesi europei. Il nostro compito è contribuire a tracciare una rotta, non assistere in silenzio a cosa accade. Questa è stata la scelta di altri, ma non la condivido. All’Europa è mancata spesso, soprattutto, la politica, che è visione e decisione. La ragione per la quale le cose rischiano di non funzionare nei prossimi anni è che il metodo scelto per indicare gli incarichi di vertice della Ue può compromettere entrambe le cose».
Perché il metodo comprometterebbe la visione?
«Se cerchi di mettere insieme tutto e il contrario di tutto, alleando forze politiche che non la pensano allo stesso modo su nulla, rischi di non avere una visione chiara. In Italia lo abbiamo visto accadere spesso, negli scorsi anni, e lo abbiamo pagato. Il problema è che questo tempo, più del passato, richiede scelte chiare».
Teme che Ursula von der Leyen finirà per guidare un governo paralizzato da una maggioranza non omogenea?
«Se porti la logica maggioranza-opposizione, che dovrebbe riguardare solo il Parlamento, al livello degli incarichi apicali, pensati dai padri fondatori come ruoli neutri che garantissero tutti gli Stati membri, produci il rischio di ulteriori divisioni e dunque una maggiore difficoltà nel decidere».
Ma come pensa di cambiare l’Europa mettendosi fuori dalla cabina di regia?
«Cosa si intende per cabina di regia? Se faccio quello che gli altri hanno scelto per me, anche se penso che non risolverà i problemi, secondo voi posso dire di stare in una cabina di regia? Siamo seri. Se invece mi chiedete cosa spero faccia l’Europa la questione è semplice, deve fare meno e deve farlo meglio, deve regolare meno e occuparsi di sostenere la competitività. E quando definisce delle strategie, deve anche accompagnarle con gli strumenti necessari».
Quali sarebbero per lei gli strumenti necessari?
«Se decidi che serve un’industria della difesa competitiva devi anche scomputare gli investimenti nel settore dal calcolo del rapporto deficit/Pil. Se vuoi fare una transizione verde devi accompagnarla con un tempo e dei modi che non si traducano in desertificazione industriale. Se vuoi fare la transizione digitale, devi prevedere stanziamenti adeguati».
Fitto? Non parto
dal nome
Le priorità sono
le deleghe economiche
Però, pur di non stare con verdi e socialisti lei ha schierato l’Italia all’opposizione di quella che von der Leyen, commentando il no di FdI, ha definito «maggioranza democratica».
«Io ho detto che il mio partito non avrebbe fatto una maggioranza con la sinistra di ogni colore e non l’ho fatta. Ma questo non ha nulla a che fare con il ruolo dell’Italia, che non è dato dalle scelte dei partiti della maggioranza in Parlamento, ma dal suo peso all’interno dell’Unione europea e dalla credibilità del suo governo. Dopodiché mi pare che in pochi conoscano le dinamiche europee, dove le maggioranze alla prova dei fatti cambiano da dossier a dossier e i partiti della maggioranza italiana, dato il loro peso, possono ampiamente fare la differenza».
Vuol dire che potrebbe votare anche con il Pd?
«Nella passata legislatura è successo. Se le opposizioni vorranno collaborare sui vari provvedimenti, in base all’interesse italiano, ne saremo ben felici».
Alcuni parlamentari di FdI hanno votato per von der Leyen per aiutarla a neutralizzare i franchi tiratori?
«Lo escludono i numeri. Rispetto alla maggioranza che von der Leyen aveva sulla carta ci sono oltre 50 voti in meno. Se l’avessimo votata noi, mancherebbero circa 80 voti. Significa che la von der Leyen in realtà non ha una maggioranza? Interessante…».
Ora però è più difficile ottenere deleghe importanti per il commissario italiano e una vicepresidenza esecutiva.
«Io penso che questa lettura sia surreale. Cioè, si sostiene che Ursula von der Leyen non riconosca ai Paesi membri il ruolo che il loro peso determina, ma decida in base al fatto che i partiti di governo l’abbiano votata o meno? Fossi in voi, considererei questa lettura un insulto».
Non teme vendette? Non crede che Scholz e Macron potrebbero lavorare per ridimensionare l’Italia?
«Penso che la decisione ora spetti alla presidente della Commissione, con la quale abbiamo già dimostrato di saper collaborare lealmente. Anche nei passati due anni noi non facevamo parte della sua maggioranza, ma questo non le ha impedito di ascoltarci quando le nostre tesi erano sensate e utili. E non ha impedito a noi di aiutare la Commissione quando ritenevamo che fosse nell’interesse italiano ed europeo. Non ho ragione di credere che non sara così anche nel futuro».
Lei ha detto a von der Leyen che non l’avrebbe votata?
«Io parlo sempre con la presidente della Commissione, è mio dovere farlo e abbiamo imparato a rispettarci a vicenda».
Quindi il vostro rapporto, anche personale, non è compromesso?
«Abbiamo collaborato fino ad ora e continueremo a farlo anche in futuro. Siamo persone che hanno delle responsabilità e ne comprendono il peso. L’Italia dipende da scelte europee, ma anche l’Europa dipende dall’Italia perché noi non siamo una provincia dell’impero. Siamo uno dei Paesi fondatori, la seconda industria manufatturiera, la terza economia e abbiamo anche il governo più stabile tra le grandi nazioni d’Europa. Tutti riconoscono il peso e il ruolo dell’Italia e sono certa che queste saranno le valutazioni che si faranno quando si definiranno le deleghe».
Conferma che sarà Raffaele Fitto il commissario italiano?
«Io non parto dal nome, ma dalla delega. Quando capiremo, come spero, quale sia il tipo di materia che potrebbe essere affidata all’Italia individueremo, insieme alla maggioranza, anche la persona a nostro avviso migliore. La nostra priorità sono le deleghe di carattere economico, industria, competitività, coesione, che ci consentano di aiutare l’Italia e l’Europa».
FdI ha votato come i Patrioti di Salvini, Le Pen e Orbán che dialogano con Putin. Riuscirà a tenere la linea di sostegno all’Ucraina?
«La linea del governo è definita dal programma che abbiamo scritto insieme e che abbiamo sempre rispettato».
Tajani ha votato «Ursula», lei e Salvini no. È credibile e può durare un governo così diviso in politica estera?
«State scherzando? Questo è il governo italiano percepito come più solido a livello internazionale, da molti anni a questa parte. Questa domanda dovreste farla alla nostra attuale opposizione, che era divisa anche quando governava. Dopodiché io penso che tutte le posizioni espresse in Europa dai partiti della maggioranza siano utili. Le rispetto tutte, e rafforzano il nostro governo».
Dica la verità, ha scommesso su Trump?
«Io sono leader di un partito europeo che ha tra gli alleati anche il partito Repubblicano. Quali siano le mie affinità politiche nel sistema americano è evidente e lo sanno tutti. Questo non mi ha impedito di lavorare molto bene con l’amministrazione Biden. Continuerei a farlo se Biden fosse confermato, così come lavorerei bene con una nuova amministrazione Trump. Per me conta la solidità dell’alleanza con gli Stati Uniti. Pensare che l’alleanza tra due nazioni del G7 muti in base al mutare dei governi è stupido e infantile. Del resto, quando Conte era al governo e negli Stati Uniti c’era Trump non mi pare ci siano stati problemi. Anzi. Noi siamo considerati affidabili, stabili, preziosi. È questa l’unica cosa importante».
Sarà così anche con il nuovo premier britannico?
«Ho già visto Starmer e posso dire che certamente lavoreremo bene insieme. Con Sunak avevo un rapporto di sintonia particolare, di amicizia anche personale, ma adesso si apre questa fase nuova e la dimensione ideologica non ci impedirà di stringere accordi su quelli che sono i reciproci temi di interesse nazionale».
Ci saranno conseguenze sulla tenuta dei conti italiani visto il nuovo Patto di Stabilità e la previsione di una manovra lacrime e sangue?
«La Finanziaria è la priorità del governo da settembre. Faremo tutto il possibile per il sostegno al reddito, ai salari e alle fasce più basse sulla base dei conti e sfruttando tutti gli spazi di flessibilità, come abbiamo già dimostrato di saper fare».
Sul sostegno all’Ucraina la linea del governo resta quella definita
dal programma
Matteo Renzi si è appellato a tutte le forze progressiste per far cadere il suo governo. Lo teme?
«Non ritengo di avere l’autorevolezza per poter dare consigli agli avversari, esattamente come io tendo a non considerare i consigli dei miei avversari. Devono fare quello che loro ritengono più giusto. Posso solo dire che ho sempre pensato che avere un nemico comune non sia la stessa cosa che avere idee comuni. Se lo fai puoi vincere ma, come si è visto, poi non riesci a governare».