Coral Tongues: On Chang Yuchen’s “Coral Dictionary Vol. 1”
13 Novembre 2023Dentro Gaza City
13 Novembre 2023
di Davide Frattini
I palestinesi accusano lo Stato ebraico di aver attaccato l’ospedale. Razzi dal Libano: 11 feriti
Gerusalemme La carcassa dell’elicottero su cui decollava Yasser Arafat sta sulla collina davanti al mare, il ferro arrugginito di un’epoca ormai corrosa. Adesso è Herzi Halevi, il capo di Stato Maggiore israeliano, a sorvolare la Striscia per avere una visione dall’alto delle operazioni e motivare le truppe che stanno combattendo nei 363 chilometri quadrati. I carrarmati in colonna sul lungomare dopo le battaglie dentro al campo rifugiati Shati, la Spiaggia, dove viveva Ismail Haniyeh, il capo di Hamas ora all’estero, la sua casa è stata distrutta.
La strada Al Rashid corre parallela al Mediterraneo, le famiglie palestinesi ci venivano al tramonto, adesso anche l’asfalto è sabbia, polverone triturato dai cingolati. Da qui le truppe hanno preso il porto e sono entrate verso Gaza City, verso l’ospedale Shifa, che è al centro della Striscia anche in tempi normali e sta diventando il centro di questa guerra. I portavoce dell’esercito mostrano i modelli in 3 dimensioni per dimostrare che sotto alla clinica i fondamentalisti hanno scavato bunker su vari livelli, sarebbe il quartier generale jihadista da cui si diramano gallerie in varie direzioni, lì potrebbe essere nascosto Yahia Sinwar, il capo dei capi.
I terroristi annunciano — scrive la Reuters — che le trattative sul rilascio di ostaggi sono per ora saltate perché i soldati hanno accerchiato e attaccato l’ospedale. L’esercito nega di aver colpito edifici nel ricovero, spiega di aver aperto una via sicura per l’evacuazione e di aver offerto 300 litri di carburante ai medici perché i macchinari salvavita potessero continuare a funzionare, i paramilitari avrebbero impedito la consegna. In altre cliniche la situazione è ancora peggiore, i pazienti sono stati portati fuori e sono stesi sulla strada, i morti palestinesi sono ormai oltre 11 mila.
Gli americani continuano a manovrare perché il conflitto non si allarghi. Ieri gruppi palestinesi hanno bersagliato Israele dal sud del Libano, i feriti sono 11 tra civili e soldati. Tsahal ha colpito postazioni di Hezbollah, che controlla le zone da dove sono partiti i lanci. Jake Sullivan, consigliere per la Sicurezza nazionale americano, in un’intervista all’emittente Cbs preme sugli israeliani per evitare che la situazione vada fuori controllo: «Non vogliamo scontri dentro agli ospedali». Josep Borrell, che guida la diplomazia dell’Unione Europea, chiede «pause umanitarie immediate». Il premier Benjamin Netanyahu risponde dagli stessi schermi: ribadisce di essere contrario a restituire il controllo di Gaza all’Autorità palestinese (come Sullivan aveva di nuovo prospettato), accusa i manifestanti occidentali: «Contro chi protestate? I nazisti o gli Alleati?». Continua a rifiutare di prendersi la responsabilità per l’invasione a Sud di 37 giorni fa, mentre documenti raccolti dal quotidiano Washington Post rivelano che i paramilitari palestinesi avevano l’obiettivo di entrare ancora più in profondità nel territorio israeliano. Dichiara che «un accordo sugli ostaggi è possibile».
La mediazione condotta dal Qatar è complicata dalle sparate dei ministri più estremisti nella coalizione. A Tel Aviv è apparso un monumento con un cappio e l’oltranzista messianico Itamar Ben-Gvir chiede la pena di morte — in Israele non è prevista — per i 200 terroristi catturati il 7 ottobre, quando 1.200 persone sono state massacrate nei villaggi attorno alla Striscia. Gli analisti fanno notare quanto sia assurdo provocare i fondamentalisti mentre controllano il destino di 240 sequestrati.