La sceneggiata volgare di Trump contro Zelensky, non ci facciamoci ingannare, è un’aggressione all’Europa. Il presidente ucraino è stato sbeffeggiato, con atteggiamenti esibitamente sprezzanti e offensivi; è stato offerto come agnello di Pasqua a Putin. Ma il vero attacco è all’Unione europea, che tiene in piedi il sistema complesso della Nato, di cui Trump si vuole disfare, sostenendo che la Ue fa i suoi interessi a scapito degli Usa.

Il sistema disgregato

La sceneggiata in diretta mondiale serve per giustificare il rovesciamento della linea tradizionale degli Stati Uniti come forza atlantica necessaria per espandere la vita democratica del mondo e guadagnare la pace attraverso le vie della libertà. Il caso ucraino è solo un espediente per Trump, nel quadro di un disegno più vasto, quello di essere il capo di un reazionarismo mondiale che si fonda su alcuni principi: la distruzione di ogni ordine statale funzionale ad un corretta integrazione dei sistemi politici, economici e sociali del mondo.

Per la disgregazione di questo sistema, Trump deve trasformare gli Usa in una forza di intervento  militare spregiudicato sino al punto di poter minacciare l’uso di armi una volta considerate non convenzionali: spaziali, nucleari e ogni diavoleria tecnologica di nuova scoperta. Ma anche poter minacciare un disimpegno altrettanto spregiudicato.

Il capitalismo selvaggio

I sistemici democratici, ovvero ridotta la questione all’osso l’integrazione fra sistema politico ed economico, sono in crisi. Il capitalismo moderno, quello del Novecento, sotto la pressione di grandi forze democratiche e popolari nel mondo, aveva stabilito il legame indissolubile fra sviluppo capitalistico e crescita democratica del mondo.

Il capitalismo fuori di un ordine politico è capitalismo selvaggio, preistorico, padronale, discriminatorio, scelleratamente disinvolto di fronte ai problemi della libertà e dello sviluppo umano. Ed è quello che intende realizzare Trump, utilizzando in maniera apparentemente disordinata ma in realtà ben finalizzata il principio che i governi non devono intervenire nella vita economica, e se la vita economica ha bisogno di grandi risorse, queste risorse si posso trovare nelle risorse finanziarie di provenienza lecita ed illecita.

Questo è il disegno scellerato: la decomposizione della democrazia statunitense e di quelle del mondo perché non costituiscano più un contenimento del capitalismo selvaggio e oligarchico.

L’Europa è, per la sua stessa storia, un freno a questo processo. Perché patria dello stato sociale, della valorizzazione delle capacità attraverso la cultura, il sapere, la crescita di un rapporto tra ideale e reale, sempre presente e mai soverchiante l’uno sull’altro.

Il ruolo della chiesa

Nell’attuale situazione italiana, due punti di forza finiscono per impattare questo scellerato progetto distruttivo Usa.

Il primo è la forza politica spirituale della chiesa cattolica, che però oggi vive una situazione precaria con la crisi fisica del pontefice, che ha messo in moto il correntismo mai sopito nell’interno delle alte sfere ecclesiastiche, le lotte di potere interne, quelle fra i grandi ordini, il fastidio per il potere politico invasivo, con sbandate anche non spirituali da parte dei gesuiti.

La sopravvivenza della chiesa cattolica come attore politico globale dipende da un aspetto apparentemente formale: se l’impedimento fisico del Papa richiederà un taglio risolutivo, con le dimissioni e la convocazione di un nuovo Conclave, oppure un processo lungo, che alterni presenza e assenza fisica, con comunicazioni del Papa da remoto. Ma anche la chiesa rischia la scomposizione, e cioè di vedersi smembrata in chiese territoriali difficilmente riunificabili sotto una guida unitaria. La soluzione è probabilmente affidata a un mix di buon senso, equilibri dell’apparato medico di assistenza del Papa, e infine quella che i credenti chiamano l’illuminazione divina e la Provvidenza.

La magistratura

Il secondo punto, nella struttura istituzionale italiana, è la questione della magistratura. Sulla quale serve un discorso di onestà.

Oggi si discute del potere politico della magistratura, e si ricorda, come sottolineava Cossiga, che la magistratura non è un potere ma un ordine. Ordine o no, nell’ordinamento costituzionale del nostro paese la magistratura è un potere politico. E non un potere a una testa, ma un potere politico diffuso, a tante teste, tante quanti sono i magistrati.

La nostra magistratura prende forza costituzionale non dalla unità delle carriere, per cui è sufficiente la separazione, ma su due norme: prima, l’obbligatorietà dell’azione penale, fondata su un semplice indizio di reato, anche con una lettera anonima; da cui discende un potere enorme di ciascun magistrato, anche quello di far costruire amichevolmente un’informativa per poi disporre un’indagine.

Il secondo è il potere dell’iniziativa di poter sollevare, per via incidentale in ogni giudizio, la questione della incostituzionalità delle leggi varate dal potere legislativo. Questo è un potere relativamente poco utilizzato, a dire il vero. Oggi si apre una grande questione: i magistrati potrebbero sollevare dinanzi alla Corte tutte le leggi varate da quando il parlamento ha accettato di essere mutilato nella struttura di un bicameralismo perfetto? E cioè da quando una delle due camere alternativamente viene decapitata del suo potere costituzionale di revisione e ripensamento di quanto deciso dall’altra?

Sembra un paradosso, eppure è un tema da approfondire, perché la decomposizione delle istituzioni sovranazionali di controllo rendono essenziale la riattivazione e il rafforzamento dei poteri istituzionali vigenti e non soppressi nei singoli paesi, come il nostro.

Tornare alla Costituzione

Serve dunque oggi il coraggio di dire che la ricerca della decomposizione internazionale operata da Trump non trova un freno e un contenimento nel nostro paese, anzi trova perfetta e non casuale corrispondenza nell’intenzione della destra italiana di decomporre le istituzioni nazionali.

C’è bisogno di un colpo di stato costituzionale, ovvero di un ritorno radicale alla Costituzione. E di una rigenerazione dell’equilibrio dei poteri democratici e repubblicani. Il processo di sfaldamento va frenato subito. O il parlamento, in questa sua immobile rassegnazione, e le alte istituzioni, riparate nella trincea dei discorsi sui principi, saranno complici della decomposizione istituzionale, della strada che porta alla fine delle democrazie europee per come le abbiamo fin qui conosciute.