LOS MÍOS, LOS TUYOS, LOS NUESTROS: TODOS DESAPARECIDOS
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2 Aprile 2023Mimmo Jodice
di Gianluigi Colin
«Vorrei ricominciare tutto daccapo. E rifare tutto in modo diverso». Mimmo Jodice parla lentamente, con dolcezza e al tempo stesso con la consapevolezza di chi sa di aver vissuto una vita intensa, anche difficile, densa di dolori e di felicità, ma sempre illuminata dalla luce di un’etica della vita. Artista del tempo sospeso, delle fotografie che indagano il senso dell’attesa, uomo dolce e fragile che ama il contatto umano e la lentezza, parla un po’ controvoglia a distanza, attraverso lo schermo di un computer.
Jodice è nel suo studio nella bella casa di Posillipo, a Napoli. È avvolto dalle sue immagini, dal suo immenso archivio, dalle opere realizzate dai tanti amici artisti e sullo schermo si vedono i suoi libri, ben schedati, con le etichette di una biblioteca ordinata. Una luce di taglio fa immaginare un sole intenso, riflesso dal mare che si vede dalle finestre. Volevamo sentirlo per fargli un doppio augurio: il primo, perché oggi 29 marzo — giorno di questa video-conversazione — è il suo ottantanovesimo compleanno. Ma è anche una doppia festa: sta infatti per arrivare in libreria Saldamente sulle nuvole, la sua autobiografia (curata da Isabella Pedicini e pubblicata da Contrasto) che si presenta come un intimo, appassionato ed emozionante racconto sulla sua vita vissuta nel nome di un grande, totalizzante, amore: la fotografia.
Anzi, no: la verità è che parlando di amori ce n’è un altro, altrettanto potente. E ha un nome dolce, rassicurante e protettivo: Angela, sua moglie. «Lei mi ha cambiato la vita, mi ha dato la forza e la sicurezza di osare», ricorda con affetto nel libro. E aggiunge: «Come ho già detto, credo che poche donne al mondo con una bella casa, già con una figlia, Barbara, e un secondo in arrivo, Francesco, avrebbero convinto il marito a lasciare un lavoro molto remunerativo, a vendere i mobili di casa, persino la nostra Alfa Romeo Sprint Special, per inseguire un sogno impossibile. Ma Angela aveva per me sicurezze e progetti che io non osavo neanche immaginare».
Certo, se a Mimmo Jodice si sottolinea la dolcezza di questa pubblica dichiarazione d’amore, subito ironizza. «L’ho fatto solo per non finire picchiato». E ride. Sicuramente Angela è (ed è sempre stata) un vero angelo custode, ma soprattutto la più preziosa e devota compagna di viaggio sulla strada della vita, anche professionale.
E nasce proprio da qui, dalla personalità poetica di Mimmo Jodice, dal suo sentire spirituale unito a uno sguardo unico, il titolo del libro che cita una frase di Ennio Flaiano: «L’arte è un modo di tenere i piedi poggiati saldamente sulle nuvole». E il titolo è già un ritratto perfetto. Il libro, frutto di infiniti incontri tra il fotografo e della storica dell’arte Isabella Pedicini, ricostruisce in modo diretto e semplice, la storia privata e artistica di un uomo che, sullo sfondo costante della sua Napoli, dialoga con grande storia dell’arte contemporanea. Ci parla della «tragica» infanzia nel quartiere Sanità («Ricordo la fame, la fame vera»), delle storie professionali («verso la metà degli anni Cinquanta, cominciai a lavorare come rappresentante di libri»), di tenerezze amorose («mi sembra ancora incredibile ricordare quei momenti e quell’improvvisa confidenza tra noi, quella certezza di poterci fidare l’uno dell’altra»), di amicizie fondanti (i tanti scrittori, fotografi e artisti) e dell’impegno politico («lavoravo per la denuncia sociale a Napoli: era questo il mio contributo sincero, profondo e appassionato e credevo nella possibilità di un cambiamento»).
Si tratta di un libro che ci parla soprattutto di una urgenza interiore, di quel daímon, quel demone socratico che è insieme coscienza, destino, vocazione: la fotografia. E quel destino si manifesta con un dono inaspettato, in qualche modo fatale: un ingranditore. È come se la fotografia per Mimmo Jodice dovesse manifestarsi con un’epifania inattesa, a suo modo sperimentale, d’avanguardia, anche colta. E con il riferimento letterario del mito, delle ombre e della caverna di Platone.
Forse tutto era già scritto. Da questo dono «fatidico» comincia infatti il suo modo di vedere oltre la rappresentazione della realtà. Grazie a notti trascorse in camera oscura, uno Jodice agli esordi inventa le sue immagini sperimentali, portando il proprio lavoro in una dimensione dichiaratamente concettuale. Ed è esattamente dalla camera oscura che prendono forma uno stile e una visione. E, più di ogni altra cosa, un’idea, ancora non sedimentata in quegli anni in Italia: credere nella fotografia come linguaggio dalla piena dignità artistica.
Ed è per questo che a un certo momento della chiacchierata con «la Lettura» Mimmo Jodice sottolinea scherzando: «Qualche sassolino da togliermi dalle scarpe? Altro che sassolino, pietre: sono pietre!» e sorride.
La natura di Mimmo Jodice è quella di un uomo mite, senza invidie né rancori. Benché possa aver avuto tutte le ragioni, nel passato, di non vedersi riconosciuto il suo lavoro di ricerca: «Che vuoi, mi dicevano, sono solo fotografie».
È sempre stato un intellettuale che ha usato la fotografia per dialogare col mondo, Jodice: «C’è una frase di Fernando Pessoa che ripeto spesso perché mi rappresenta: “Ma cosa stavo pensando prima di perdermi a guardare…?”. Ecco la mia inclinazione naturale: perdermi a guardare, contemplare, immaginare, cercare visioni oltre la realtà». Ma Jodice ha percorso nella sua vita molte stagioni, molti linguaggi anche diversi: dal tradizionale reportage (sempre però meditato, al di fuori della cronaca) alla fotografia antropologica, dalla fotografia di architettura a quella più evocativa del mondo dell’archeologia e di un «tempo interiore». «Ho ormai quasi novant’anni — dice ora — e vedere, a quest’età, significa osservare e cercare di capire. Dai bambini che incontro per strada, alle tante stragi in mare nel nostro Mediterraneo, sino alla terribile guerra in Ucraina. Un desiderio? Vorrei raccontare tutto il resto a venire. Ma come si fa? Diciamo solo: non finisce qui».
Mimmo Jodice ha la voce affaticata, forse rotta dall’emozione. Un’assistente gli porta un bicchiere d’acqua. Angela lo accarezza. Poi, con voce ferma, continua: «Di fronte alle tante difficoltà della mia vita mi è stato di conforto sapere che ho sempre cercato di fare bene quello che ho fatto. Sì, mi ha aiutato moltissimo fare bene le cose. La morte? Non mi fa paura. Mi fa paura la fine di vedere, di raccontare, di comunicare con chi è accanto a me. Ma io sarò nascosto. La forza dell’arte è quella di superare i confini del tempo. E questo mi consola molto. Tutte le fatiche che ho affrontato, quello che ho fatto, e continuo a fare, non va perduto. È come se lasciassi un’eredità. Spero solo che il mio lavoro sia una spinta a emozionarsi e a capire il mondo». E aggiunge: «Le cose che mi piacciono e vedo intorno a me sono davvero pochissime. Voglio nutrirmi solo con gli occhi e vorrei continuare a raccontare agli altri. Se nascessi ora, vorrei donare il mio sguardo, vorrei trasmetterlo alle nuove generazioni. Per questa ragione direi: cercate di allenare gli occhi e non guardare in maniera distratta. Imparate a vedere. Vedere è importantissimo. È un esercizio che mi accompagna ogni giorno: ogni tanto mi fermo e cerco di capire e di ragionare. Su come si può cambiare. Su tutto ciò che è sbagliato. Molte cose che ho visto mi hanno portato sofferenza. Tutti i temi che ho affrontato, a partire dal mare, sono pieni di sofferenza».
Mimmo Jodice si ferma. Guarda dritto sulla telecamera dello schermo, come se cercasse gli occhi dell’interlocutore. Vuole aggiungere qualcosa e scandisce le parole, quasi a dare un tono solenne a ciò che sta per dire: «Fotografare significa ve-de-re. E io non posso vivere senza vedere. Non finirò mai. Dietro al vedere cresce la conoscenza. Se dovessi nascere di nuovo vorrei avere occhi più penetranti, più forti, più aggressivi». E allora irrompe la voce di Angela: «Ma non è vero! Non ha mai avuto occhi così belli e così attenti come quelli che ha ora». E forse, ancora una volta, sull’uomo che vive «saldamente sulle nuvole», la voce dell’amata Angela dice la verità.