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La decisione annunciata con una nota del Dicastero per la dottrina della fede: le sue «affermazioni pubbliche» manifestano il rifiuto dell’autorità del Pontefice e della comunione con i membri della Chiesa. Convocato per difendersi, non si era presentato
Roma
L’arcivescovo Carlo Maria Viganò è stato scomunicato per scisma. Lo ha annunciato ieri un comunicato del Dicastero per la dottrina della fede (Ddf) che lo ha processato penalmente nella forma extragiudiziale. Alla base dell’accusa verso l’ex nunzio negli Stati Uniti ci sono le sue «note» affermazioni pubbliche «dalle quali risulta il rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e della legittimità e dell’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II». Nel comunicato si spiega che giovedì il Congresso del Dicastero, cioè la riunione dei vertici del Ddf, si è insediato per concludere il processo penale, e si aggiunge che «all’esito» di tale processo Viganò «è stato riconosciuto colpevole del delitto riservato di scisma». Il Dicastero quindi «ha dichiarato la scomunica latae sententiae », precisando che la rimozione della censura in questi casi è riservata alla Sede Apostolica. La nota si conclude precisando che la decisione è stata comunicata a Viganò nella stessa giornata di ieri. «Ciò che mi è imputato come colpa per la mia condanna è ora messo agli atti, a conferma della Fede Cattolica che integralmente professo», ha scritto da parte sua l’ex nunzio ieri sera su X.com dopo aver ricevuto la comunicazione.
Il procedimento penale in questione (nella forma del processo extragiudiziale, cioè ammini-strativo, più rapido ma che comunque ha permesso all’imputato di difendersi) non sembra avere precedenti. Consultando infatti il sito del Ddf, che raccoglie in una apposita sezione tutti i documenti più significativi da esso pubblicati a partire dal 1966 (quando si chiamava Congregazione), non si trovano provvedimenti simili. L’unico caso di vescovo di cui viene dichiarata la scomunica in quanto scismatico riguarda il vietnamita Pierre Martin Ngò-dinh-Thuc. La Congregazione gli notificò la pena nel settembre 1976 per aver consacrato cinque nuovi vescovi senza il necessario mandato pontificio.
Il presule successivamente chiese e ottenne l’assoluzione riservata alla Santa Sede, ma poi continuò ad ordinare illecitamente altri vescovi e così nel marzo 1983 gli venne di nuovo notificata la scomunica. Anche l’arcivescovo Marcel Lefebvre incorse nella scomunica per scisma, sempre per aver ordinato vescovi (quattro) senza il mandato pontificio. Ma nel suo caso il decreto fu emanato, nel luglio 1988, dalla Congregazione per i vescovi. Mentre la scomunica dell’arcivescovo Emmanuel Milingo venne annunciata nel settembre 2006 con una dichiarazione della Sala Stampa della Santa Sede. Il presule africano era già stato sospeso a divinis per essersi “sposato” con una signora coreana, ma la scomunica scattò quando consacrò quattro vescovi a Washington (successivamente Milingo venne dimesso dallo stato clericale). Questa volta, per Viganò, la scomunica non è arrivata per aver consacrato nuovi vescovi, ma per non riconoscere l’autorità di papa Francesco e il magistero del Vaticano II.
Consultando i documenti messi in Rete dal Dicastero presieduto dal cardinale Victor M. Fernandez, un caso simile a quello di Viganò potrebbe essere quello del sacerdote francese Georges de Nantes, meglio conosciuto come l’Abbé de Nantes (19242010). A suo carico infatti risultano due notificazioni, la prima dell’agosto 1969 e la seconda del maggio 1983. Il prete transalpino fu un feroce oppositore del Concilio, accusò di eresia sia il Vaticano II sia Paolo VI e Giovanni Paolo II. Sospeso a divinis nel 1966, chiese di essere ricevuto dalla Congregazione per la dottrina della fede per far valere le sue ragioni, che vennero ovviamente respinte con le notificazioni del 1969 e 1983. Nel 1997 infine venne colpito dall’interdetto (forma attenuata di scomunica) emesso dal vescovo di Troyes. Fece ricorso alla Segnatura ma senza successo. Nel Codice di diritto canonico l’interdetto vieta di prendere parte come ministro a qualsiasi cerimonia liturgica, di celebrare sacramenti o sacramentali e di ricevere i sacramenti. Mentre la scomunica vieta, in più, di esercitare funzioni in uffici o ministeri o incarichi ecclesiastici qualsiasi, o di porre atti di governo.
Il processo a Viganò è stato deciso dal Dicastero nel Congresso che si è tenuto venerdì 10 maggio. A questo tipo di riunione, che di solito si tiene appunto di venerdì, partecipano, come già detto, i vertici del Dicastero, mentre alla Feria IV del mercoledì prendono parte anche i cardinali e vescovi membri. Il Ddf poi aveva inviato un decreto di citazione a Viganò, chiedendogli di presentarsi nel pomeriggio del 5 giugno per «prendere nota delle accuse e delle prove circa il delitto di scisma di cui è accusato». La notizia di tale decreto era stata diffusa dallo stesso Viganò che non si era presentato davanti al Ddf. Il canone del Codice di diritto canonico citato dal decreto come oggetto del processo penale è il 1364, dove si afferma che «l’apostata, l’eretico e lo scismatico incorrono nella scomunica latae sententiae ». Il decreto – firmato da monsignor John J. Kennedy, segretario per la sezione disciplinare del Dicastero – specificava che la decisione di avviare il processo era stata presa dopo aver stabilito che l’indagine previa era “superflua” ai sensi del primo comma del canone 1717. Nel caso di mancata comparizione o di una difesa scritta presentata entro il 28 giugno, recitava infine il decreto, l’arcivescovo «sarà giudicato in sua assenza ». E così è stato.