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Il ruolo chiave dell’ex ad di Eni Scaroni e quello del berlusconiano Valentini
Dunque: non era una battuta. E il discorso non è capitato per caso. Silvio Berlusconi era perfettamente consapevole della delicatezza dell’argomento che stava trattando quando parlava di Russia e Ucraina con i suoi deputati, tanto da raccomandarsi “del silenzio”, prima di essere tradito. Non è stato un caso perché le parole dell’ex presidente del Consiglio — tutto sommato non così diverse da quanto aveva detto mesi fa a Napoli e poi in tv a Porta Porta — sono il risultato di un lungo e specifico lavoro che il Cremlino sta compiendo in Italia da mesi, come i nostri servizi di sicurezza sanno («Avete rapporti con i russi? Ditelo, tanto lo scopriamo», disse il sottosegretario Franco Gabrielli al Copasir), per influenzare e avvicinare politica e opinione pubblica. Un lavoro che, evidentemente, nelle ultime settimane si è concentrato sul centrodestra di governo. I russi ritengono Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia inavvicinabili: i messaggi sull’atlantismo sono stati chiaramente recepiti a Mosca. Diverso il discorso su Matteo Salvini: il leader con la maglietta della risposta della Meloni sugli aggettivi che Berlusconi le aveva dedicato negli appunti fotografati da Repubblica: «Manca un punto, che non sono ricattabile». Come se qualcun altro potesse esserlo.
I piani operativi che rilevano, nel rapporto con quello che lui chiama “Vlad” — anni fa Paolo Guzzanti notò che «parlava di lui come di una fidanzata » — sono almeno due. Il primo, prevalente, è chimico e personale. E passa dalla somiglianza dei due maschi alfa, dai loro rapporti privati saldati in decine di incontri, anche informali. Da quello che sempreGuzzanti chiama nel libro “Guzzanti vs Berlusconi” (2009) «il club del gas». Un quartetto di potenti (a cui a volte si aggiungeva un “quinto amico”, Muammar Gheddafi) dove a Putin e Berlusconi si aggiungevano Gerhard Schroder e Recep Tayyip Erdogan. I quali in consessi privati, talora in Europa altre in Russia, stabilivano tra loro i destini delle forniture di gas europee. Secondo informazioni dei servizi statunitensi, georgiani, italiani, ognuno si disponeva a favorire gli altri membri anche grazie ad attenzioni personali. Come quelle che l’ex Cancelliere tedesco ebbecon le nomine ai vertici dei colossi degli idrocarburi russi Gazprom e Rosneft, o con la presidenza del gasdotto Nord Stream 2, per doppiare il tubo che porta il gas siberiano in Germania.
Berlusconi ha una volta smentito le indiscrezioni giornalistiche che lo volevano titolare, tramite società di comodo, di un piccolo giacimento a Zhaikmunai, nelle lande kazake; ma non può smentire il suo costante supporto alle iniziative russe per penetrare i mercati europei del gas. Qui si arriva al piano delle aziende di Stato. E qui si staglia il ruolo di Paolo Scaroni, il manager che il governo Berlusconi nel 2005 volle a capo dell’Eni al posto del più coriaceo Vittorio Mincato. Proprio a Scaroni, che oggi presiede il Milan (ed è vicepresidente della banca d’affari Rothschild), Berlusconi affidò una delle iniziative più care a Mosca, nonché al suo amico di famiglia Bruno Mentasti: sottrarre 3 miliardi di metri cubi di gas russo all’Eni e venderlo in Italia tramite una società ad hoc, dove accanto a Mentasti si parava una pletora di scatole site in paradisi fiscali. Un family & friends italo-russo che saltò a un passo dal traguardo, per i rilievi formali del cda dell’Eni e dell’Antitrust. Sempre Scaroni fu il cantore della nascita del gasdotto South Stream, tubo da 15 miliardi con cui i russi volevano aggirare le infide rotte ucraine fin dal 2007. Ma anche questo progetto naufragò, sul traguardo, per le pressioni politiche degli Usa sulla Bulgaria. Era il 2014, la Russia aveva appena invaso la Crimea.