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15 Gennaio 2024La scrittrice premio Pulitzer Marilynne Robinson
dalla nostra inviata Viviana Mazza
indianola (iowa) Che cosa penserebbe il reverendo John Ames di Trump? «Che domande. Resterebbe attonito e inorridito», replica Marilynne Robinson. Il reverendo Ames, pastore congregazionalista di una cittadina di poche anime nel cuore dell’Iowa, è il protagonista di «Gilead», il romanzo per cui Robinson vinse il Pulitzer nel 2005. E la religione è più che mai rilevante oggi che Trump sembra destinato a vincere i caucus repubblicani, con l’appoggio dei cristiani evangelici. L’autrice ottantenne in pensione, premiata con la National Humanities Medal da Obama, non vive più in questo Stato, ma ne è una profonda conoscitrice, avendo insegnato per 25 anni al prestigioso Iowa Writers Workshop, programma quasi centenario che ha formato grandi scrittori americani.
In quanto cristiana, come giudica questo uso politico della religione?
«I fondamentalisti vanno a braccetto con Trump da così tanto tempo che non sono più certa di chi dei due abbia corrotto l’altro. La storia è piena di esempi di come la religione venga cooptata dal potere e dai soldi. Ma non avrei mai potuto immaginare di vederne un esempio così volgare così da vicino. Ci sono moltitudini di persone in questo Paese che meritano di essere definite cristiane. Ma finora non hanno deciso di contare davvero».
Ci sono molti stereotipi sull’Iowa, lei ha confessato che prima di viverci li aveva anche lei. Cosa rende questo Stato diverso dal resto dell’America?
«Ci sono molti pregiudizi sul Midwest in generale. L’Iowa è semplicemente soggetto ad una particolare versione di essi, probabilmente perché non ha grosse città ed è intensamente agricolo. C’è lo stereotipo dell’“entroterra”, pressoché inviolato dalla Storia e inconsapevole di essa, abitato da persone naïf, intellettualmente limitate dall’innocenza e dall’isolamento. In realtà, è abitato in gran parte da immigrati dall’Europa — svedesi, olandesi, tedeschi, norvegesi, cechi, irlandesi — giunti anche piuttosto di recente. Tendono a identificarsi con i gruppi etnici di provenienza, eppure vivono in armonia con altri che erano nemici mortali al tempo delle guerre in Europa. L’idea che il Midwest sia “omogeneo”, che in questo contesto significa indolente e intollerante, applicata all’intera regione, è ignorante. I miei studenti, di ogni provenienza, sembravano amare almeno un po’ gli abitanti dell’Iowa per la loro quieta e democratica dignità senza pretese, la loro tendenza a far bene qualunque cosa cui si applichino. Avevano senso civico. L’Iowa è sempre stato noto per la qualità della sua istruzione. Non avrei mai immaginato che potesse cadere nella funesta assurdità che ci affligge oggi. È stato un vero choc».
Nonostante sia soprattutto bianco e rurale, l’Iowa è un microcosmo che riflette la crisi della democrazia e della fiducia nelle istituzioni in America?
La presenza mediatica di Trump potrebbe trarci in inganno. Biden è stato
un ottimo presidente. Potrebbe essere rieletto perché non
è allarmante né tende a parlare
di carneficine e di parassiti
«Non potrà mai essere un microcosmo, ma accettavo il suo ruolo nei caucus. Le persone li prendevano sul serio, non da ultimo mostrando la cortesia necessaria per un dibattito aperto se si vuole che porti a qualcosa di buono. Sembravano informati. Si tende a presupporre che la gente voti per i propri interessi e che quegli interessi siano in linea con la loro condizione economica e il gruppo etnico. Io penso che molti considerino i propri interessi in linea con il bene del Paese. In che cosa questo “bene” consista, ovviamente, è oggetto di dibattito. E il giudizio di ciascuno è inevitabilmente influenzato dall’esperienza e dalle circostanze. Ma gli abitanti dell’Iowa mi hanno sempre dato l’impressione d’essere coscienziosi, e questo compensava ai miei occhi le lacune demografiche. Ora sono felice che la loro influenza sia stata ridotta (i democratici hanno cambiato il calendario, i loro caucus si tengono lunedì ma i risultati saranno noti solo a marzo, ndr)».
Ha scritto che in America oggi le persone sono incoraggiate ad accettare «l’inevitabilità della distopia». Ciò influirà sulle scelte elettorali?
«Spero seriamente che il mio senso delle cose sia falsato dal fascino che Trump e il suo movimento riscuotono nei media. Sembra un controsenso identificarsi come parte del sottoproletariato, la “classe dangereuse”, e allo stesso tempo appoggiare la nozione che le persone relativamente abbienti siano azionisti i cui interessi sono prioritari e intoccabili. Stupidità e rimedi venduti da ciarlatani. Non offrono altro che distopie. Non hanno nemmeno senso. Ed è sconvolgente che non è necessario che abbiano senso. Su quanto siano influenti, lo vedremo insieme».
Trump vincerà a novembre? Molto sembra dipendere dalla capacità della gente di riconoscere miglioramenti dell’economia sotto Biden.
«La gigantesca presenza mediatica di Trump potrebbe trarci in inganno. Non penso che nulla sia inevitabile a questo punto. Biden è stato un ottimo presidente. È difficile credere che questo possa non contare nulla. Potrebbe essere rieletto perché non è allarmante né tende a parlare di carneficine e di parassiti. Mi sta bene. Gli storici celebreranno Biden».