Il Punto 21/07/2023
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22 Luglio 2023La lezione di Camaldoli
La prolusione del presidente della Cei: «Non si cerchino alibi, la visione dei cristiani in politica è un antidoto alle tossine che inquinano la democrazia. La pace un bene mai perpetuo». Migliavacca: serve un nuovo impulso formativo Barban: riscoprire cultura e interiorità
Inviato a Camaldoli ( Arezzo)
Ancor più di un progetto di ordinamento sociale alternativo agli anni bui del ventennio, il Codice di Camaldoli, per usare le parole del cardinale Matteo Maria Zuppi, «preparò l’inchiostro con cui venne scritta la Costituzione, frutto di idealità, ma anche di capacità di confronto e consapevolezza dei valori della persona ». Una visione che prese corpo dal lavoro di alcuni dei più lucidi interpreti del pensiero cattolico, politico ed economico, ma ancor prima umano, sociale e culturale. Già, perché proprio «dal divorzio tra cultura e politica» nasce «una politica epidermica, a volte ignorante – come ha spiegato il presidente della Conferenza episcopale –, con poche visioni e segnata da interessi modesti ma molto enfatizzati».
Valutazioni che sembrano riprendere il filo del testo diffuso giovedì dal capo dello Stato Sergio Mattarella, ieri presente di persona a Camaldoli (ma senza prendere la parola , come impone il protocollo), che aveva sottolineato quanto il “Codice” abbia dato alla Carta specie su quattro pilastri: dignità della persona, giustizia sociale, uguaglianza e pace.
Una giornata, quella di ieri, anche di rievocazione. Era il luglio del 1943 e di lì a poco l’epilogo del fascismo avrebbe assunto una dimensione concreta con la crisi decretata dal Gran Consiglio (il 25 dello stesso mese, appena un giorno dopo la conclusione di quel
raduno). Una coincidenza temporale che rivela la capacità di lettura di chi si impegnò nella stesura di quel testo, nel quale affondano le radici di bella parte della nostra Costituzione e che segnò un passo decisivo del percorso iniziato con la Rerum novarum di Leone XIII e proseguito con la formulazione della Dottrina sociale della Chiesa. Un prodotto del pensiero cristiano, dunque, ma al contempo universale, che la Conferenza episcopale italiana ha voluto ricordare a 80 anni di distanza nello stesso luogo in cui il Codice vide la luce, il monastero di Camaldoli.
Una tre giorni di riflessione iniziata ieri proprio con la prolusione del presidente della Cei . Ed è stato proprio l’arcivescovo di Bologna a ripercorre la genesi del documento e il contesto storico in cui fu concepito. «Anche allora c’era un Papa che come oggi Francesco – parlava senza sosta di pace: Pio XII. Perché la posizione dei papi del Novecento – tutti – è farsi carico del dolore della guerra, cercando in tutti i modi vie di pace, curando le ferite dell’umanità e favorendo la soluzione dei problemi ». Il tema è uno di quelli su cui il cardinale si sofferma con più vigore, ricordando che «l’infiacchimento della democrazia è sempre un cattivo presagio per la pace». Un bene che «non è mai perpetuo, neanche in Europa » e «questa consapevolezza dovrebbe muoverci a responsabilità e decisioni».
Poi il richiamo esplicito all’impegno dei cattolici in politica perché non facciano dell’assenza attuale di partiti di ispirazione cristiana «un alibi per non cercare nuovi modi di fare politica o per fare politica svincolati da principi, valori e contenuti ». L’impegno, insomma, resta un dovere perché «la disaffezione dalla politica non può non interrogarci» e «le visioni dei cristiani in politica possono essere più o meno condivise, ma tutti sanno che i principi e posizioni che propongono, non esprimono l’interesse della Chiesa, ma il bene di tutti. La Chiesa non ha altro interesse. Ecco perché l’impegno dei cattolici – quando è sincero e generoso – è di per sé de-polarizzante e rappresenta un antidoto alle tossine
che inquinano la democrazia». Il punto, ha proseguito Zuppi, è la necessità di «risvegliare gli sguardi e le menti, per superare il circolo vizioso per cui tutto diventa impossibile. Ecco perché Francesco insiste sulla pace anche quando sembra difficile o sulla fraternità anche quando dilaga l’estraneità, o la chiusura dei populismi ».
Un invito fatto proprio anche dal vescovo di Arezzo-Cortona- Sansepolcro, monsignor Andrea Migliavacca, che ha spronato la comunità cristiana a «fare tesoro di quella grande ispirazione che fu il Codice di Camaldoli» e ora «ci chiede l’impegno in un nuovo impulso nel campo della formazione socio-politica». Una fatica possibile grazie a chi «ha vissuto la fede cristiana nel silenzio e nella solitudine, ma anche nell’umile servizio alla cultura », come ha evidenziato Dom Alessandro Barban, Priore generale dell’Ordine camaldolese, ricordando l’accoglienza «particolarmente feconda» del monastero per la storia d’Italia. Un’accoglienza grazie alla quale prese corpo quello che nella sua relazione il professore Tiziano Torresi, dell’università Roma Tre, ha definito un «concreto operare dell’uomo» per «orientare l’impegno civile dei credenti».