Con una videochiamata chiarificatrice da parte della segretaria del Pd Elly Schlein, è stato designato nuovo presidente dell’assemblea del Pd Stefano Bonaccini, lo sconfitto alla corse della segreteria che, come aveva promesso, adesso si avvierà sulla strada della collaborazione. Si svolgerà domenica 12 marzo a Roma, presso il centro congressi “La Nuvola” la prima seduta della nuova Assemblea nazionale del Partito democratico dove verrà nominata ufficialmente segretaria del Pd Elly Schlein.
Nella piena trasparenza voluta dal partito, per gli interessati, i lavori inizieranno alle 10:30 e saranno trasmessi in diretta streaming sulla pagina Facebook e sul canale YouTube del Pd. Ma prima di arrivare a quel giorno, si apre un sabato di intensi lavori, visto che domenica sarà eletta anche la direzione del Pd, e il partito si prepara a lasciare spazio alla maggioranza della segretaria, che al suo interno conta ancora solo una minoranza.
GLI SCONTENTI
Attualmente, gli scontenti di Bonaccini sono più dei felici per Schlein, e non sono solo gli ex renziani di Base Riformista, visto che la maggioranza del partito voleva che lui diventasse segretario.
La direzione sarà composta come da statuto in tutto da centoventiquattro membri eletti, sessanta eletti dall’Assemblea nazionale e 60 espressione dei territori. Sul totale, più della metà dovrebbero essere diretta espressione della segretaria, mentre Bonaccini avrà molto meno spazio del previsto e dovrà adesso capire chi accontentare e come.
Della direzione intanto faranno automaticamente parte le capogruppo del Senato e della Camera, Simona Malpezzi e Debora Serracchiani, anche se un domani è probabile che la segretaria deciderà di sostituirle nei loro ruoli parlamentari.
Dal team della segretaria, dovrebbero entrare in direzione tutti i nomi di spicco dalla sua parte: Francesco Boccia, Marco Furfaro, Marco Sarracino, Alessandro Zan, Antonio Misiani, Chiara Braga e la consigliera del Lazio Marta Bonafoni.
Ma Schlein punta anche a un rinnovamento radicale, e spicca la decisione di inserire in direzione Sandro Ruotolo, che ha già accettato. Tra i nomi in fase di discussione invece l’ex sardina Mattia Santori, oggi consigliere di Bologna. Un giovane sì, e manifestamente dalla sua parte, ma che potrebbe suscitare qualche polemica. Le vere sorprese comunque, dicono dal partito, arriveranno quando Schlein deciderà i nomi per i membri della segreteria la settimana prossima.
DA PRODI A CUPPI
Bonaccini ha deciso dal canto suo di andare a prendere un ruolo che in qualche modo fissa una pace con Schlein e interna al partito. Se non avesse accettato nulla sarebbe stata conclamata la frattura interna. Bisogna dare atto a Bonaccini che la storia dei presidenti non è semplice ed è costellata di addii a volte ironici a volte più amari. Senza contare che da statuto il ruolo (così come quello del segretario) si ottiene tramite l’elezione da parte dell’Assemblea, e dovrebbe durare quattro anni, ma finora ce l’ha fatta solo Matteo Orfini.
Ma andiamo con ordine. All’inizio spicca il nome di Romano Prodi, primo presidente con Walter Veltroni segretario, dal 2007 al 2009. Poco prima della batosta elettorale, ha deciso di tirarsi indietro: «La vita è fatta di futuro», il commiato del Professore. «Per ora penso a qualche mese di vacanza sono 20 anni che tiro», ha aggiunto all’epoca. In realtà non ha mai lasciato la scena politica, ma i ruoli nel Pd sì.
Dopo Prodi è arrivata Rosy Bindi. Presidente dal 2009 al 2013. Con l’avvento del Movimento 5 stelle in parlamento e lo streaming disastroso del segretario Pier Luigi Bersani in cerca di un’alleanza, ha fatto un passo indietro: «Non sono stata direttamente coinvolta nelle scelte degli ultimi mesi né consultata sulla gestione della fase post elettorale e non intendo perciò portare la responsabilità della cattiva prova offerta dal Pd in questi giorni, in un momento decisivo per la vita delle istituzioni e del paese».
Il caso Gianni Cuperlo è certamente il più mesto. Eletto presidente a dicembre 2013, si è ritirato a gennaio 2014 con una lettera al nuovo segretario Matteo Renzi pubblicata sui social. Era «allarmato dalla concezione» di Renzi del Pd e si è fatto da parte «per avere la libertà di dire quello che penso».
Matteo Orfini finora è l’unico caso di mandato portato a termine: «Ha giocato a suo favore aver intercettato ben due fasi transizione. Da Renzi a Maurizio Martina. Quando è arrivato Zingaretti è stato sostituito come accade di solito con i nuovi segretari», spiegano dal Pd. Così il partito dalla nascita nel 2007 ha contato ben 12 segretari, inclusa la prima donna, e sei presidenti in attesa del settimo.