Il nuovo vicecapogruppo al posto del figlio del governatore campano è l’anti-armi Ciani. L’accusa: “Vendetta trasversale”. Tensione nei gruppi
ROMA — Lui, Piero De Luca, non l’ha presa bene, eufemismo: è stata una «vendetta trasversale che non fa onore», dice a caldo, mentre su un post di Facebook annuncia una «una resistenza democratica nelle sedi di partito», perché le logiche che hanno portato alla sua defenestrazione, sostiene, «risentono di scorie non smaltite delle primarie». Facile dire adesso: ne resterà solo uno. E sono in tre: Elly Schlein da una parte, i De Luca’s dall’altra. Padre e figlio, rispettivamente governatore della Campania uno e l’altro, fino a ieri, vice-presidente del Pd alla Camera. La segretaria dei democratici dopo due mesi di traccheggiamenti – con un pezzo dei fedelissimi che le aveva suggerito di ammorbidirsi un po’ e un’altra fetta che invece insisteva: Elly, vai dritta come un treno, guerra ai cacicchi! – alla fine ha fatto a modo suo. Dopo un’ultima riunione al Nazareno con Sandro Ruotolo, arci-nemico di De Luca padre, De Luca figlio è stato scalzato dal vertice del gruppo dem a Montecitorio e relegato a un ruolo minore, che sa di contentino: segretario. Sempre che accetti, perché l’umore è nero. Col padre Vincenzo il conto di Schlein è ancora aperto, ma la leader del Pd ha già fatto capire come la pensa: no alla terza candidatura in Regione. E tanti saluti. Quando calerà a Napoli, come accadrà domenica, per l’assemblea di Articolo 1 nell’ex fabbrica Whirlpool, si terrà alla larga dal governatore, dopo avergli già commissariato il partito regionale. E dalla Campania, De Luca senior studia le contromosse. C’èchi dice che potrebbe ricandidarsi col Terzo polo (del resto il rumor aveva contagiato pure il figlio), anche se i rapporti con Matteo Renzi non sono buoni da tempo. E per ora non cede al corteggiamento di un altro De Luca, Cateno, neo-sindaco di Taormina, che arruolandolo metterebbe a segno un colpaccio per il suo movimento “Sud chiama Nord”. Si vedrà. Nel Pd nazionale la rimozione del vice-capogruppo va oltre le beghe campane e perfino oltre un ruolo che, comunque, non è certo di primissimo piano. Nella minoranza battuta al congresso, che nei gruppi parlamentari è quasi maggioranza, viene contestato il «metodo» di Schlein. Il «colpire il figlio per dare una lezione al padre», per dirla conPiero Fassino. All’assemblea dei gruppi di ieri, l’aria era frizzantina. Per la prima volta dalle primarie si sono registrati interventi ruvidi contro la segretaria. Che però non ha parlato. Ha partecipato per un’oretta, all’inizio, ma solo mentre si discuteva degli emendamenti al decreto Lavoro poi resi inammissibili, peraltro con la senatrice ex Cisl Annamaria Furlan che ha criticato il salario minimo. Poi, al momento della discussione sulle nomine, Schlein se n’è andata. «Non possiamo accettare i processi a un cognome, questo è uno scalpo politico e un errore serio », la critica di Lorenzo Guerini, capo di Base riformista, che prima aveva parlato con Schlein. L’ex ministra Marianna Madia se l’è presa con «le logiche spartitorie fra correnti, che non ho mai accettato. Vedo solo un’operazione punitiva, malgrado si predichi il cambiamento». Un altro ex ministro, Enzo Amendola, ha lamentato che con i nuovi assetti non ci siano più «rappresentanti del Sud», oltre al fatto che «la scelta è stata solo dettata da ricaschi reputazionali». Tutti e tre, più Fassino, nonhanno votato le nomine. E nessuno ha parlato a difesa dei nuovi assetti. I malumori, insomma, covano sottotraccia. Nonostante proprio le minoranze, Base riformista in primis, ottengano diversi posti: Simona Bonafè è stata nominata vice-capogruppo vicario, affiancata dall’orlandiana Valentina Ghio per la sinistra, Toni Ricciardi dei lettiani, e a sorpresa da Paolo Ciani, vicino a Sant’Egidio e contrario alle armi all’Ucraina, «posizione personale», si affrettano a dire nel giro di Schlein. Al Senato invece Base riformista ottiene Alfredo Bazoli come vicario, i lettiani Antonio Nicita vice semplice, e vengono confermati Beatrice Lorenzin e Franco Mirabelli. Senza più Schlein presente, la capogruppo Chiara Braga, si è presa «tutta la responsabilità » dell’operazione. I cui strascichi potrebbero trascinarsi fino alla direzione di lunedì, quando si discuterà del flop alle amministrative.