Il disegno di legge Calderoli è il testo base per l’Autonomia differenziata e tra sette giorni comincerà la discussione generale. Lo ha deciso la prima commissione del senato, al termine del ciclo di audizioni che ieri ha dato spazio all’Ufficio parlamentare di bilancio dal quale è arrivata una critica puntuale al meccanismo previsto per il finanziamento delle prestazioni che le regioni si propongono di sottrarre allo stato. Il sistema immaginato da Calderoli prevede che le regioni trattengano una quota (maggiore rispetto a quella attuale) dei tributi pagati sul territorio ma, ha fatto notare Giampaolo Arachi, che è uno dei tre consiglieri dell’Upb, «non vi è motivo per ritenere, anzi tutt’altro, che una volta fissata un’aliquota di compartecipazione a un tributo erariale il gettito seguirà un andamento simile ai fabbisogni».

In altre parole, con un’aliquota fissa, potrebbero verificarsi casi in cui la compartecipazione al tributo non riesca a coprire il fabbisogno e dunque «sarebbe necessario integrarla per assicurare le risorse necessarie». Il contrario di quanto giura il disegno di legge sull’Autonomia, per il quale la riforma non produrrà un aggravio dei costi per lo stato centrale. Ma d’altra parte potrebbe verificarsi anche il caso opposto, qualora «la dinamica della compartecipazione eccedesse quella del fabbisogno», ha spiegato Arachi. A quel punto le regioni alle quali sarà stata riconosciuta l’Autonomia differenziata «disporrebbero di risorse in eccesso rispetto a quelle che sarebbero state garantite dalla fornitura statale». Con la conseguenza che «vi sarebbero meno risorse per il resto delle amministrazioni pubbliche che, dati gli obiettivi di finanza pubblica, dovrebbero essere reperite con riduzioni di spesa, che potrebbero anche riguardare il finanziamento delle iniziative finalizzate ad attuare le previsioni costituzionali o aumenti della pressione fiscale che si scaricherebbero anche sui cittadini delle altre regioni».

Sono gli stessi concetti espressi nella nota del servizio bilancio del senato alcune settimane fa, quando aveva chiarito che l’Autonomia differenziata non potrà mai essere a costo zero per lo stato centrale, a meno di non accettare che le regioni più povere debbano perdere risorse per il finanziamento delle loro prestazioni. Quella previsione, pubblicata sul sito del senato e sui suoi social, ha fatto all’epoca infuriare il ministro Calderoli che ne ha ottenuto prima il ritiro e poi una degradazione a «bozza provvisoria non verificata». Un limbo dal quale non esce a distanza di settimane, anche se il contenuto di quelle analisi è stato nella sostanza confermato dall’audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Senza però che l’Ufficio abbia potuto mettere a disposizione dei senatori le sue analisi quantitative, perché non ne ha avuto il tempo. Ieri ha comunicato di aver bisogno di almeno altre due settimane per fare previsioni numeriche, che rischiano comunque di restare un po’ astratte visto che i famosi Lep, i livelli essenziali delle prestazioni propedeutici all’Autonomia, sono ancora da definire.

Malgrado questo, la commissione sulla quale vigila, presenza costante, il ministro Calderoli, ha deciso che la prossima settimana comincerà la discussione generale ed entro il 22 giugno andranno depositati gli emendamenti. Termine che appare destinato a slittare, visto che a quella data si farà, forse, appena in tempo ad avere il report definitivo dell’Upb. Un’accelerazione improvvisa: fin qui il presidente della prima commissione, il meloniano Balboni, era stato più prudente. La ragione è che Calderoli insiste per chiudere la prima lettura del testo entro l’estate. Ieri la sua dichiarazione era in pratica un sospiro di impazienza: «Si è ufficialmente concluso il ciclo di oltre 60 audizioni, abbiamo ascoltato ogni sorta di posizione, contiamo di portare a casa il provvedimento quanto prima». Mentre il capogruppo del Pd in commissione, Giorgis, ha detto che «stupisce è preoccupa l’inutile fretta della maggioranza che si mostra indifferente ai rilievi dell’Upb».