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24 Luglio 2022I l FILM
diArianna Finos
Girato nel 1952 il film diretto da William Wyler con Audrey Hepburn e Gregory Peck fu tra quelli scelti per servire alla propaganda Usa con un messaggio che è quintessenza dell’ideale a stelle e strisce: il diritto di divertirsi
Una favola nell’incanto della città eterna. Vacanze romane, girato nell’estate di settant’anni fa, conserva intatto il suo carico di grazia. L’incontro tra l’ingenua principessa europea in incognito e il cinico giornalista americano, che pensa di trarne vantaggio e poi se ne innamora. Lei è Audrey Hepburn, lui Gregory Peck, in una Roma da Vespa. Un manifesto gioioso, una commedia romantica che ha lanciato una stella e fatto dire al divo Peck che «quella meravigliosa estate romana fu probabilmente l’esperienza sul set più felice della vita», annota Caroline Young nel libro Roman Holiday: The secret life of Hollywood in Roma.
Ma intorno al film — che la Fondazione cinema per Roma proietta il 24 luglio, versione restaurata, in via Veneto — è anche uno strumento di propaganda nello scenario da guerra fredda, cartina di tornasole dei rapporti stretti tra il governo americano e l’Italia avviata verso la Dolce vita. Scritta in segreto da uno sceneggiatore accusato dai maccartisti di essere un comunista, Dalton Trumbo, Vacanze romane diventa veicolo di esaltazione dello stile di vita americano nel mondo e soprattutto in Russia. Un’ironia della sorte degna delle penne di Flaiano e Suso Cecchi D’Amico, che misero mano al copione pur restando fuori dagli Oscar.
La bocca senza verità
Nel dopoguerra i film mainstream di Hollywood promuovono il capitalismo in modo indiretto, libertà e consumo. Un feel-good entertainment che scavalca i confini di Hollywood e domina il mercato internazionale. L’industria si espande anche per fronteggiare la concorrenza televisiva, mentre Washington usa il cinema come strumento di propaganda. Cia e Dipartimento di Stato controllano che a varcare l’oceano non siano film lesivi dell’immagine del Paese, banditi, razzismo e violenza. Va in scena uno spettacolo di opulenza e libertà, confenzionato con maestria estetica. Tra i film scelti per servire all’immagine Usa oltre la cortina di ferro Vacanze romane contiene un messaggio che è quintessenza dell’ideale a stelle e strisce: il diritto di divertirsi. Mostra un Occidente affascinante, moderno, pieno di opportunità. Racconta un’aristocrazia liberata, dalla prigione emotiva e dal conservatorismo, da un personaggio che incarna i valori americani. Sullo sfondo, la capitale di uno stato ex nemico che si è rapidamente convertito in alleato nella guerra fredda, un Paese ricostruito e splendente grazie al piano Marshall.America ed Europa — dice il film di Wyler — possono condividere interessi e sogni.
Sogno americano di un comunista Dalton Trumbo scrive Roman holiday prima di essere imprigionato come uno degli Hollywood ten, fa figurare come autore l’amico Ian McKellan Hunter, che vende la sceneggiatura alla Liberty di Frank Capra, che fa capo a Paramount. Capra pensa a Cary Grant e Liz Taylor, ma fa marcia indietro per l’ostilità della Gran Bretagna: la storia ricorda le vicissitudini della principessa Margaret, sorella di Elisabetta, balzata alle cronache rosa per una relazione proibita e un viaggio in Italia. Quando Capra lascia la Paramount nel ’51, il progetto passa a Wyler. Gli autori del saggio Cinematic cold war (2014), Tony J. Show e Denise Youngblood, ipotizzano che un Vacanze romane firmato da Capra avrebbe sottolineato l’avidità degli aristocratici. In una delle versioni la principessa Anna è rapita dai criminali della mafia, ma la parte viene tolta perché il governo italiano minaccia di bloccare i fondi. In un’altra la principessa Anna è una manipolatrice che cerca di usare il fascino aristocratico per persuadere i ricchi americani e europei, tra cui il Segretario di StatoGeorge Marshall, a fronteggiare la crisi economica del suo Paese.
L’Europa è un mercato importante e un’occasione di investimento diretto, da parte delle major, nelle produzionli locali. Nel 1954 il 50 per cento delle entrate a Hollywood è generato oltreoceano, specie in Europa.Vacanze romane è il primo film girato e montato tutto fuori dagli Usa, tra il giugno e l’ottobre del 1952. All’uscita viene definito dai critici statunitensi uno dei migliori film dell’anno, il giovane senatore John F. Kennedy lo dichiara il suo favorito. Candidato a 10 Oscar, ne vince tre. Incassa 5 milioni di dollari in patria, 12 nel mondo. Nel ‘ 54 entra nella lista che il governo vuole mostrare nell’Europa dell’est, nel ‘60 viene esportato in Unione sovietica. La rivista Soviet screen lo pubblicizza più di ogni altro, il pubblico femminile si identifica in Audrey Hepburn, il film abbatte lo stereotipo di un occidente volgare, superficiale e decadente. Ma l’obiettivo non riesce, perché per sabotarlo il Cremlino fa circolare copie difettose già usate, cosa che amareggerà Wyler.
Italia, cinema & Cia
«Non bisogna immaginarli sul ponte delle spie a scambiare prigionieri. Ma ci sono all’epoca in Italia persone con una grande sfera di influenza,hanno un soft power, lavorano negli studios più vicini al governo», spiega Marco Spagnoli, autore del doc The Italian jobs — Paramount pictures e l’Italia (2007), e ora diHollywood e Cinecittà (prodotto da Samarcanda film con Cinecittà studios, uscita in autunno). «L’Italia è un paese distrutto dalla guerra, il legame tra politica, economia e produzione è fondamentale ». La Paramount in Italia poggia su tre nomi: il direttore generale Pilade Levi, marito di Carol, la prima agente cinematografica italia, e padre di Gioia, «viene dall’ufficio di guerra psicologica degli Stati Uniti, è sbarcato ad Anzio e nei cinegiornali lo chiamano il capitano Levi». Luigi Luraschi, italiano nato a Londra, sovrintende al mercato internazionale, dà il via libera aVacanze Romane e ne segue la distribuzione nel mondo. Lascerà la Paramount per lavorare con Dino De Laurentis. Infine Mark Spiegel, colonnello dell’esercito americano, è il rappresentante di Mpea (Motion Picture Esport Association), contribuirà alla fondazione della Berlinale. «Il paradosso è che tutti loro non sono agenti infiltrati, sono persone legate dagli studios che a un certo punto entrano nella sfera di influenza del governo americano. Luraschi è un anticomunista che, come sappiamo dai rapporti della Cia, dice di essere riuscito a far escludere dallenomination all’Oscar Don Camillo. Però è un grande cineasta. Pilade Levi convince Wyler a coinvolgere una sceneggiatrice sua ex compagna di liceo, Suso Cecchi D’Amico e Ennio Flaiano, amico di Wyler». Soprattutto dopo che al regista, che lo racconta in The authorized biography di Axel Madsen, il ministro Annibale Scicluna dice di non amare un copione che prende in giro la polizia e gli italiani. Fu un lavoro, ricorda Suso Cecchi D’amico inSuso Cecchi d’Amico, Storie di cinema (e d’altro) raccontate a Margherita d’Amico, molto impegnativo e poco redditizio: «Andammo a discutere il nostro compenso, il produttore americano ci invitò a fargli una proposta. Flaiano mi guardò e io, non conoscendo le paghe dei colleghi americani, chiesi una cifra che mi sembrava ragionevole, un milione. L’entusiasmo dell’interlocutore ci fece capire che era una richiesta ridicola. Esclamò felice: “Ecco i grandi professionisti! Così si lavorava a Hollywood ai tempi dell’Arte”. Se avesse potuto, Flaiano mi avrebbe strozzata ». Sono loro a dare al copione hollywoodiano una sfumatura (neo)realista, in una Roma da cartolina eppure vibrante e autentica. Ma se nel 2011 Trumbo ha avuto il suo Oscar, fuori dall’Italia i loro nomi sono rimasti sconosciuti.