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15 Febbraio 2025POESIA
La natura e il tempo nel convito di Antonio Prete
Sono sette le sezioni di Convito delle stagioni (Einaudi, pagine 132, euro 12,00), un libro complesso e intrigante: Convito delle stagioni, Tempo rubato, Per un bestiario, Lezioni di tenebre, Quaderno blu marino, Fiori d’aria e La lengua, lu ientu, incentrate su due tematiche urgenti, la natura e il tempo, care da sempre alla poesia. La natura (animale, vegetale, umana, terrestre, astrale, “celeste”), declinata nella molteplice varietà dei suoi aspetti e “metamorfosi” (colori, suoni, profumi) tra visibile e invisibile, tra finito e infinito, in un orizzonte, oltre che fisico, metafisico, giusto come dice il titolo; il tempo, inteso come esperienza, agostinianamente protesa tra memoria e attesa, che si traduce in meditazione e poesia, in una forma cioè di più profonda ricerca e conoscenza «nel teatro intimo della forma». Autore ne è Antonio Prete, comparatista di fama internazionale, traduttore fra i più autorevoli, oltre che narratore, che ha pubblicato, a oggi, quattro raccolte di versi, due uscite presso Donzelli, Menhir (2007) e Se la pietra fiorisce (2012), e due nella collana bianca di Einaudi, Tutto è sempre ora (2019) e, appunto, Convito delle stagioni. Polytropos, insomma, dal multiforme e versatile ingegno, versato alla critica e ancor più alla poesia come «conoscenza e insieme / angustia per le ferite del mondo».
Dichiarò nel 2007, a ridosso già di Menhir: « A lato della scrittura critica e narrativa ho sempre tenuto aperto il rapporto – di prova, di meditazione, di ricerca – con il linguaggio della poesia. Un rapporto mantenuto al di qua della sua esposizione attraverso la stampa. Un esercizio di tastiera che ho sempre considerato necessario per l’esperienza stessa del pensare ». Un rapporto che è andato facendosi sempre più pubblico, fino a questa raccolta che rappresenta una prova di rara maturità poetica, collocandosi in uno spazio tutto suo, al di là e al di sopra della massa, per ciò che dice e per ciò che lascia trasparire per il suo modo di collocarsi rispetto ai suoi modelli di un’alta genealogia poetica (Jabès, Luzi, Bonnefoy), «sentieri della mente» incisi «nel tripudio / della lingua», più ancora che «nel teatro intimo della forma». Presenze essenziali, i tre citati, per non contare Leopardi, di cui Prete è stato e rimane un interprete fondamentale, a partire dal primo exemplum sulla Ginestra, comparso sulla rivista “Per la critica” cinquant’anni fa, ben prima che il suo saggio Il pensiero poetante ne rivelasse la profondità e passione ermeneutica, facendolo diventare un classico degli studi sul Recanatese. Intrisa di leopardismo, un essenziale leopardismo di fondo, appare tutta la sua poesia per l’attenzione centrata sulla natura e sull’esistenza, giocata tutta tra malinconico pessimismo e speranza mai sopita. Tutto questo in un’epoca in cui la poesia si dibatte tra rigurgiti sperimentali, ombelicali compiacimenti, manierismi disinvolti e minimalistici.
Un libro complesso e intrigante, Convito delle stagioni: intrigante per le sue articolazioni tematiche ed espressive su una scena memoriale e contemplativa, il tutto armonizzato in un contesto e in un dettato che danno ragione di un’intenzione di profonda unitarietà, oltre che di un senso di «angustia per le ferite del mondo», di un’attenzione cioè tutt’altro che distratta alla storia nel suo anche cronachistico manifestarsi; complesso, perché in una sostanza fatta di canto e di pensiero poetante, la cui commistione rivela un “disegno” di rappresentazione di una totalità, intesa come visione della natura, del mondo, del cosmo, in cui autocoscienza della natura stessa è l’uomo come sintesi di finito e infinito, in quanto corpo e spirito, materia e forma, anelante al “sogno” di quella “perduta integrità”, che solo la poesia sa ricomporre e riaccendere come “vertigine” dell’infinito nella «spenta / lingua».